Le bodycam degli stessi agenti USA testimoniano le torture sullo studente umbro
di Elio Clero Bertoldi
PERUGIA - "Please, please, please..." Una invocazione inascoltata, non raccolta da ciniche guardie, che si comportano come spietate SS in un lager. Il giovane, scalzo e legato alle le mani ed ai piedi, rimane in balìa degli agenti per lunghi minuti, sofferente ed umiliato.
Di una vera e propria tortura, praticata dalla polizia, è rimasto vittima uno studente italiano negli Usa: "incaprettato" nella cella della caserma per 13' consecutivi, nonostante la vittima pregasse di interrompere quella pratica terribilmente dolorosa, lancinante ed atroce, e, in aggiunta, immotivata, inammissibile ed illegale.
Il caso, agghiacciante e scandaloso, di Matteo Falcinelli, 25 anni, di Spoleto e residente a Perugia (secondo quanto ha chiarito la madre in tv), rimane al vaglio non solo della giustizia Usa, ma anche di quella italiana (la Procura di Roma, sollecitata dai difensori dello studente e la procura generale di Perugia che ha attenzionato la vicenda di propria iniziativa) oltre che dalla Farnesina: il ministro Antonio Tajani ha assicurato alla madre dello studente, Vlasta Studenicova, di origine slovena ma cittadina italiana, che il console Michele Mistò e lo stesso ministero degli esteri faranno i passi necessari con il massimo rispetto delle istituzioni degli Usa, ma pure con fermezza. E la vicenda approderà persino in Parlamento, come annunciato da numerosi esponenti di tutte le forze politiche.
Matteo frequentava la "Florida International University" ed alloggiava al Biscayne Bay Campus, collegato all'ateneo. Il giovane, che ha studiato a Foligno ed in Inghilterra e parla fluentemente la lingua inglese, stava seguendo un master in management immobiliare, dopo aver vinto una borsa di studio nel quadro della sua attività calcistica da dilettante.
La sera del 24 febbraio scorso l'umbro aveva fatto una puntata in un locale di Miami, il "Dean's Gold", nella zona nord della città, a Biscayne. Locale che, tra le attrazioni, vanta una spettacolo di spogliarelliste, sebbene il giovane abbia rimarcato di non averlo saputo fino al momento del suo ingresso ritenendo fosse un mero e semplice pub. Racconta, Matteo, di aver rifiutato l'approccio di una spogliarellista che gli offriva sesso per 500 dollari e di essersi limitato ad un drink (pare un "Cuba libre") e, successivamente, di aver offerto ad una ragazza, di nome Gisele una birra. Poi i ricordi del giovane si fanno confusi. La madre azzarda che gli sia stata messa nella bevanda la droga del sesso, molto in voga non solo di là dall'Atlantico. Ma questa resta una ipotesi (la difesa, comunque, ha sollecitato analisi approfondite sulle due macchie di sangue repertate sulla t-shirt del fermato).
Le ricostruzioni sugli episodi di quella notte movimentata offerte dalla polizia e dall'interessato divergono abbastanza nettamente. Tuttavia, comunque si sia sviluppata la serata, che si è prolungata sino alle 3.38 (ora dell'arresto) del 25 febbraio, resta incontestabile il fatto che gli agenti intervenuti abbiano adottato comportamenti e trattamenti, nei confronti dell'italiano, che violano i diritti umani e che suonano a conferma di come i poliziotti statunitensi utilizzino - non è la prima volta che si registrano avvenimenti del genere nel paese a stesse e strisce - una violenza al limite del credibile, per di più in una nazione democratica e civile.
Intanto i poliziotti (quattro o addirittura sei: non risulta ancora chiarissimo, il dato), intervenuti sul posto, hanno immobilizzato sull'asfalto, davanti al locale, Matteo con la stessa tecnica - ginocchio premuto, da uno degli operanti, sul petto e sul collo - della quale il 25 maggio 2020, era rimasto vittima George Floyd, l'afroamericano morto asfissiato, per quella mossa da arti marziali, a Minneapolis. Non solo. Trascinato in cella, lo studente si era visto legare i polsi e le caviglie dietro le spalle, mentre si trovava nei locali della caserma e dunque anche a distanza temporale notevole dai fatti contestati (la resistenza a pubblico ufficiale, l'opposizione non violenta, il tentativo di violazione di domicilio, perché intendeva rientrare nello strip-club, per recuperare i suoi due telefonici, contenenti - tra l'altro - carte di credito e card per l'accesso al campus universitario dove era ospitato): un "incaprettamento" durato ben tredici minuti non solo terribilmente doloroso, lancinante ed afflittivo, ma anche pericoloso per la stessa salute fisica e psicologica della vittima. Un qualcosa di simile ai tratti di corda ai quali era stato sottoposto, nella Firenze di cinque secoli fa, Niccolò Machiavelli...
Nessun dubbio che tutte queste atrocità si siano registrate: non fosse sufficiente il racconto della vittima, le stesse "bodycam" della polizia (anche se in alcuni passaggi l'audio è stato, appositamente, spento dagli stessi agenti operanti) rappresentano la prova, la "pistola fumante", di un comportamento che rappresentanti di Amnesty hanno già dichiarato "trattamento illegale". E che la mamma, il fratello Marco - universitario a Bologna - ed i difensori di Matteo, definiscono, senza tanti giri di parole, vera e propria "tortura". Lo stesso giudice di fronte al quale è comparso Matteo (e che lo ha scarcerato dopo tre giorni di cella con il solo obbligo di seguire il "pre-trial intervention", programma gestito dall'Ufficio del Procuratore, per i reati minori e non violenti e che presenta analogie con la nostra "messa in prova") ha lasciato intuire che non sono emersi dai verbali della polizia elementi concreti e seri di accusa.
In questo quadro ancor più la violenza cui è stato sottoposto Matteo si palesa immotivata, sproporzionata e, persino, del tutto gratuita (quale quella avvenuta in caserma, in particolare).
E per fortuna il nostro connazionale è sopravvissuto: il "Mapping Police", dati dell'FBI, sostiene che la polizia USA abbiaucciso, con le armi, con il taser, con la contenzione (leggi: violenza) fisica, 9.000 persone negli ultimi nove anni...
Il Falcinelli per le sevizie cui è stato sottoposto ha subito, comprensibilmente, un crollo psicologico (la madre ha parlato di quattro tentativi di suicidio) per curare il quale è rimasto cinque giorni in una clinica di riabilitazione ed è dovuto ricorrere all'aiuto di specialisti. Se le tumefazioni e le escoriazioni riportate in quelle drammatiche ore, appaiono in via di risoluzione e forse risultano già guarite, quelle psicologiche rischiano di rimanergli chissà per quanto tempo. Resta il timore, tra i familiari e gli amici, che non possano sparire mai. Auguriamoci che, almeno questo, non avvenga. E che sia fatta piena e completa giustizia.
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