Bioenergia a Costano/ Sel Bastia Umbra: "Alla faccia della sovranità popolare”
Lo scorso 27 dicembre, dopo aver letto gli svariati annunci del Comune di Bastia sui giornali, abbiamo assistito, animati da grande curiosità, alla presentazione del progetto ’Bastia Bioenergia’ da parte della società BASTIA BIOENERGIA SOCIETÀ AGRICOLA A R.L.. Volevamo soprattutto vedere e capire le grandi novità e la “fortuna” che stava per colpire la cittadinanza e soprattutto i residenti nella zona di Costano.
Dall’illustrazione effettuata dai rappresentanti delle società interessate, congiuntamente al Sindaco ed all’assessore Fratellini, il tutto contornato da molti spettatori che protestavano, abbiamo appreso che:
L’impianto utilizzerà insilati di mais, sorgo e triticale per la produzione di biogas. Il tutto necessiterà di una superficie di circa 300 ettari per l’approvvigionamento (considerati 2 raccolti all’anno per 15.000 tonnellate annue);
l’impianto sarà ad “impatto visivo zero”: verrà interrato per alcuni metri ed intorno verranno posizionate delle collinette con alberi che “nasconderanno” l’impianto;
La tecnologia utilizzata è ben collaudata, in Germania sono migliaia di impianti già funzionanti;
Non vi saranno emissioni maleodoranti: gli alberi creeranno delle correnti ascensionali che non faranno disperdere gli odori derivanti dalla macerazione e dalle lavorazioni;
Che si creeranno 10 posti di lavoro di cui 2 fissi all’interno dell’impianto;
Che si creerà un’indotto di circa 1 milione di euro.
Anticipiamo che non vogliamo solo avvallare la contrarietà dei residenti delle aree interessate per, come si suol dire, “partito preso” ma bensì come risultato di un’analisi ben ampia che ci ha portato alle seguenti considerazioni:
- Assodato che l’area è già interessata dall’inquinamento delle falde acquifere derivante dalla non felice gestione del biodigestore di Bettona, pensiamo che un ulteriore aggravamento derivante sia da fertirrigazione con scarti della lavorazione (benchè di origine vegetale) e sia dalla coltivazione intensiva, non sia sostenibile;
- All’estero questa tipologia di impianti è diffusa (leggasi vi è un ritorno economico) solo perché oltre alla produzione di energia elettrica vi è associata quella termica (impianti di teleriscaldamento), mentre qui in Italia viene sovvenzionata con una tassa extra pagata sulle bollette energetiche e con il “commercio” di certificati verdi;
- Che, se la soluzione avveniristica del posizionamento di alberi intorno all’impianto sia così funzionale, ci chiediamo perché sino ad oggi non sia stato utilizzato anche per l’impianto di depurazione in essere da molti anni;
- I 10 posti di lavoro non saranno aggiuntivi a quelli esistenti: le attività ricettive del comprensorio avranno conseguenze negative e coloro che già vivevano dell’agricoltura tradizionale e della relativa filiera si ritroveranno a casa;
- L’indotto non è garantito che ricada nel comprensorio: solo per fare un esempio la manutenzione (soprattutto quella straordinaria e redditizia) probabilmente verrà effettuata da ditte esterne al nostro circondario;
- La cittadinanza dovrà accollarsi le spese per le infrastrutture come le strade e relative manutenzioni;
- Gli abitanti del comprensorio dovranno sia sopportare un viavai di Tir ininterrotto, sia gli odori emessi, come raccontano gli abitanti di zone attigue ad impianti simili in altri comuni.
Premettendo che siamo tutt’altro che contrari alla produzione di energia da fonti rinnovabili, ma solo se il tutto sia regolamentato tenendo contro dell’impatto ambientale e sociale! Vogliamo concludere sottolineando che siamo contrari a questi tipi di impianti nel nostro territorio, per i seguenti motivi:
Nessuno garantisce che in un futuro non verranno utilizzati altri tipi di materie prime come derivati della zootecnia;
Vengono distolti terreni dediti sino ad oggi alla produzione destinata all’alimentazione;
Verranno utilizzate monocolture intensive che impoveriranno i terreni con largo uso di concimi ed acqua, che ad oggi già risultano gravemente inquinati;
Verrà alterato il mercato dei mangimi (le società produttrici di energia possono pagare affitti maggiori) a scapito di chi necessita di culture destinate all’alimentazione animale e/o umana.
Al termine dei 15 anni (scadenza dei certificati verdi) l’impianto verrà dismesso, la bonifica dell’area (e relative strutture) a carico di chi sarà e con quali garanzie?
I cittadini non la vogliono…è giusto farla contro la loro volontà senza essere interpellata?
Per incentivare il settore agricolo è necessaria la promozione da parte degli enti pubblici, partendo dai Comuni, favorendo la filiera corta (mercato ortofrutticolo), promuovendo prodotti tipici e di qualità del territorio, aiutare forme di consociativismo che permetta ai piccolo agricoltori di ottimizzare i costi.
Pertanto chiediamo all’Amministrazione Comunale, dato che ad oggi non ha ritenuto di far partecipe i cittadini a questa importante decisione, di adoperarsi con ogni mezzo per far in modo che non venga perpretato un altro sfregio al nostro territorio. Nel caso che ciò non avvenga, chiediamo alla popolazione di prepararsi per una grande mobilitazione.
Ernesto Pettirossi
Segreteria Sel Bastia Umbra
P.S.
a) Contrariamente a quando affermato dal Sindaco durante la presentazione, alla CONFERENZA DI SERVIZI di Giovedì 23 novembre 2011 non erano presenti e non avevano inviato il proprio pa-
rere:
- Regione Umbria - Servizio Interventi per il territorio rurale
- Regione Umbria - Servizio Energia
- Provincia di Perugia – Servizio Gestione e controllo ambientale
- Provincia di Perugia – Servizio Difesa e gestione idraulica
- Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Umbria
- Soprintendenza per i B.A.P. dell’Umbria
- A.R.P.A. Umbria – Direzione Regionale – Unita Operativa Tecnica
- ENAC
- INAIL ex ISPESL - Dipartimento territoriale di Terni
b) Che nel sito della Sebigas (azienda costruttrice dell’impianto) che riporta essere stato aggiornato allo scorso 24 settembre, risulti già come “prossima costruzione”, ben 2 mesi prima della convocazione della Conferenza di Servizi.
Domenica
15/01/12
16:51
Anche il Comitato Popolare per l'Ambiente di Bettona è contrario alla realizzazione di un impianto a biogas alimentato a biomasse nella frazione di Costano, limitrofa al territorio di Bettona. Questo non per la sindrome "NIMBY" ma per i seguenti motivi come illustrati da Carlo Petrini (SlowFood):
1) si smette di produrre cibo per produrre energia
2) la monocoltura intensiva del mais è deleteria per i terreni per il largo uso di concimi chimici e della tantissima acqua, prelevata da falde acquifere sempre più povere e inquinate. Senza rotazioni sui terreni si compromette la loro fertilità e si favorisce la diffusione di parassiti come la diabrotica, da eliminare con un'ulteriore aggiunta di antiparassitari. Se il mais non è per uso alimentare, poi, sarà più facile mettere due dosi di tutto invece di una, senza farsi tanti scrupoli.
3) chi produce energia coltivando mais può pagare affitti dei terreni fino a 1500 euro per ettaro, il che crea una concorrenza sleale nei confronti di chi invece ne ha bisogno per l'allevamento. È lo stesso fenomeno che si è creato con i parchi fotovoltaici, dunque sta piovendo sul bagnato. A chi alleva servono terreni soprattutto per rientrare nella "direttiva nitrati", che dovrebbe regolare lo smaltimento dei liquami in maniera sostenibile. Chiedete ai contadini e agli allevatori: i terreni non sono mai stati così costosi come oggi, e per un' azienda che già subisce i danni di un mercato drogato da speculazioni e imposizioni di prezzi bassi da parte del sistema distributivo può voler dire soltanto una cosa, la chiusura.
4) gli impianti stessi, quelli da 1Mw, sono grandi strutture e per costruirle si consuma terreno agricolo sacrificandolo per sempre.
5) ci sono già le prime voci sulla nascita di un mercato nero di rifiuti biologici, come gli scarti dei macelli, venduti illegalmente per fare biogas. Non andrebbero mai utilizzati come biomasse, perché ciò che avanza dalla "digestione" poi viene sparso per i campi come ammendante e in questi casi oltre a inquinare potrebbe anche diffondere malattie. Il problema è la scala. Diciamo chiaramente che in sé il biogas da biomasse non avrebbe nessun difetto. Ma se è realizzato a fini speculativi ed è sovradimensionato, se fa produrre mais al solo scopo di metterlo nell'impianto, se fa alzare i prezzi del terreno, lo consuma e lo inquina, allora bisogna dire no, forte e chiaro. Da questo punto di vista sarà bene che le amministrazioni (comunali per impianti piccoli, provinciali per quelli più grandi) comincino a valutare i fini reali degli impianti prima di concedere autorizzazioni, e sicuramente questi problemi andranno affrontati e debellati con la nuova PAC, la politica agricola comune, che si è iniziata a discutere a Bruxelles.
Da un punto di vista umano capisco gli agricoltori che hanno intravisto con il biogas un modo per risalire la china di un' agricoltura industriale sempre più in crisi. Ma sono sicuro che ci sono altri modi di fare agricoltura, più puliti, diversificati, che puntano alla vera qualità. Questa agricoltura può essere molto remunerativa e dare futuro ai giovani, mentre è soprattutto quella di stampo industriale che sta collassando. Inoltre, prima o poi gli incentivi finiranno.
Anche il Comitato Popolare per l'Ambiente di Bettona è contrario alla realizzazione di un impianto a biogas alimentato a biomasse nella frazione di Costano, limitrofa al territorio di Bettona. Questo non per la sindrome "NIMBY" ma per i seguenti motivi come illustrati da Carlo Petrini (SlowFood):
1) si smette di produrre cibo per produrre energia
2) la monocoltura intensiva del mais è deleteria per i terreni per il largo uso di concimi chimici e della tantissima acqua, prelevata da falde acquifere sempre più povere e inquinate. Senza rotazioni sui terreni si compromette la loro fertilità e si favorisce la diffusione di parassiti come la diabrotica, da eliminare con un'ulteriore aggiunta di antiparassitari. Se il mais non è per uso alimentare, poi, sarà più facile mettere due dosi di tutto invece di una, senza farsi tanti scrupoli.
3) chi produce energia coltivando mais può pagare affitti dei terreni fino a 1500 euro per ettaro, il che crea una concorrenza sleale nei confronti di chi invece ne ha bisogno per l'allevamento. È lo stesso fenomeno che si è creato con i parchi fotovoltaici, dunque sta piovendo sul bagnato. A chi alleva servono terreni soprattutto per rientrare nella "direttiva nitrati", che dovrebbe regolare lo smaltimento dei liquami in maniera sostenibile. Chiedete ai contadini e agli allevatori: i terreni non sono mai stati così costosi come oggi, e per un' azienda che già subisce i danni di un mercato drogato da speculazioni e imposizioni di prezzi bassi da parte del sistema distributivo può voler dire soltanto una cosa, la chiusura.
4) gli impianti stessi, quelli da 1Mw, sono grandi strutture e per costruirle si consuma terreno agricolo sacrificandolo per sempre.
5) ci sono già le prime voci sulla nascita di un mercato nero di rifiuti biologici, come gli scarti dei macelli, venduti illegalmente per fare biogas. Non andrebbero mai utilizzati come biomasse, perché ciò che avanza dalla "digestione" poi viene sparso per i campi come ammendante e in questi casi oltre a inquinare potrebbe anche diffondere malattie. Il problema è la scala. Diciamo chiaramente che in sé il biogas da biomasse non avrebbe nessun difetto. Ma se è realizzato a fini speculativi ed è sovradimensionato, se fa produrre mais al solo scopo di metterlo nell'impianto, se fa alzare i prezzi del terreno, lo consuma e lo inquina, allora bisogna dire no, forte e chiaro. Da questo punto di vista sarà bene che le amministrazioni (comunali per impianti piccoli, provinciali per quelli più grandi) comincino a valutare i fini reali degli impianti prima di concedere autorizzazioni, e sicuramente questi problemi andranno affrontati e debellati con la nuova PAC, la politica agricola comune, che si è iniziata a discutere a Bruxelles.
Da un punto di vista umano capisco gli agricoltori che hanno intravisto con il biogas un modo per risalire la china di un' agricoltura industriale sempre più in crisi. Ma sono sicuro che ci sono altri modi di fare agricoltura, più puliti, diversificati, che puntano alla vera qualità. Questa agricoltura può essere molto remunerativa e dare futuro ai giovani, mentre è soprattutto quella di stampo industriale che sta collassando. Inoltre, prima o poi gli incentivi finiranno.
Il biogas con grandi impianti è una pezza sporca che alcuni stanno mettendo alla nostra agricoltura malata, ottenendo l'effetto di darle così il colpo di grazia. Sarà molto difficile tornare indietro: i terreni fertili non si recuperano, le falde s' inquinano, la salubrità sparisce, chi fa buona agricoltura è costretto a smettere a causa di una concorrenza spietata e insostenibile.
Martedì
24/01/12
18:24
Spettabile Redazione, senza entrare nel merito specifico dell’impianto presentato da Bastia Bioenergia, vorrei portare un contributo sull’argomento affrontato dagli amici di Sel che, per la mia esperienza, può essere considerato valido per tutti gli impianti di questo tipo.
Il “biodigestato”, che rappresenta il residuo della fermentazione anaerobica delle biomasse agricole immesse nel processo, è tutt’altro che un prodotto inquinante. Al contrario, ridistribuito nel modo corretto sugli stessi terreni utilizzati per la produzione delle biomasse, svolge un’azione fertilizzante ed ammendante, restituendo gli elementi della fertilità sottratti con la coltivazione e riducendo altresì l’impiego di fertilizzanti chimici.
Sarebbe senza dubbio auspicabile, come sottolineato dall’autore dell’articolo, l’utilizzazione dell’energia termica prodotta, senonché ciò necessiterebbe dislocare gli impianti in prossimità di potenziali utilizzatori. Nel nord Europa, come nel nord Italia, detti impianti sono posizionati strategicamente a ridosso di centri produttivi o residenziali, rendendo così possibile e conveniente il teleriscaldamento.
In merito all’indotto generato, inviterei a tenere una visione più ampia. In considerazione dell’attuale crisi occupazionale, lo sviluppo di attività capaci di generare posti di lavoro, dovrebbe essere vista positivamente a prescindere dalla ricaduta locale, pur presente.
Il traffico veicolare che una centrale a biogas viene a generare, è quello derivante dal trasporto delle biomasse vegetali dal luogo di produzione al sito di impianto. Allorché si opera nell’ambito della filiera corta, si determina una sostanziale riduzione delle movimentazioni rispetto alla ordinaria gestione agricola. Basti pensare che una tonnellata di granella di mais destinata all’alimentazione animale, compie un viaggio estremamente più lungo, dovendo essere trasportata dal campo al centro di stoccaggio, quindi all’industria mangimistica, da qui al punto vendita, per arrivare, infine, dopo aver percorso a volte centinaia di chilometri, alla stalla dove avviene la sua utilizzazione. Lo stesso vale per il biodigestato che va a sostituire l’uso dei fertilizzanti di sintesi che vengono prodotti per lo più all’estero.
In merito alla competizione esercitata da tale attività con le coltivazioni destinate all’alimentazione umana o animale e sull’effetto negativo sul prezzo dei beni alimentari, occorre tener presente che le colture da energia occupano solo il 6 per mille della superficie arabile del pianeta. Anche in Italia la loro incidenza è poco rilevante. Non bisogna infine dimenticare che per decenni la politica agricola comunitariaha sovvenzionato, con il cosiddetto set aside, gli agricoltori che rinunciavano a coltivare sino al 10 percento della superficie agricola e così sarà, in misura ridotta, anche nei prossimi anni.
La corretta gestione, come il rispetto delle normative vigenti, sono problematiche che riguardano tutte le attività produttive e non solo quella in oggetto. In merito alle garanzie sulle matrici che potrebbero essere utilizzate nell’impianto di biogas, non può essere messa in dubbio preventivamente l’onestà dei gestori, ma credo sia opportuno affidarsi all’attività di sorveglianza da parte dei numerosi enti preposti al controllo del territorio: ASL, ARPAT, Polizia Municipale, Polizia Forestale, Polizia Provinciale, NAS, NOE, Guardia di Finanza, ecc.,
Infine, una considerazione di carattere politico. Ritengo che compito degli amministratori pubblici sia quello di applicare e far applicare le normative vigenti, garantendo la tutela dei diritti di tutti i cittadini. Quest’ultimi hanno il dovere di rispettare le leggi, hanno il diritto di vigilare sull’operato degli amministratori e degli imprenditori e di adoperarsi, eleggendo i propri rappresentanti, con azioni dirette e con tutti i mezzi che la costituzione riconosce loro, per modificare le normative che ritengono sbagliate.
Gianfranco Rossi Agronomo