Basta con la guerra! Domenica 10 ottobre 2021 Marcia PerugiAssisi
Ora basta con la guerra! Domenica 10 ottobre 2021 Partecipa alla Marcia PerugiAssisi
Per 20 anni abbiamo chiesto la fine della guerra in Afghanistan. Ma oggi non abbiamo niente da festeggiare perché il disastro è troppo grande.
Le guerre sono così. Non finiscono mai. Se ne chiude una e ne comincia un’altra. È finita quella americana. Ricomincia quella talebana. Le vittime sono state e continueranno ad essere le stesse: la povera gente. Così la guerra finisce dov’è cominciata: con i talebani che governano l’Afghanistan. A cosa sono serviti 20 anni di guerre e stragi? Cosa avremmo dovuto fare? Cosa possiamo fare oggi? Quali lezioni dobbiamo trarre da questo clamoroso disastro?
A cosa sono serviti 20 anni di guerre, stragi e uccisioni? La guerra in Afghanistan doveva servire a punire i responsabili dell’11 settembre, a mettere fine al regime dei talebani, a sradicare il terrorismo, a portare la democrazia, a promuovere i diritti umani. Oggi è evidente a tutti che 20 anni di guerra non sono serviti a niente. La guerra in Afghanistan non è riuscita a risolvere nessuno dei problemi che pretendeva di risolvere.
Anzi. Molti dei problemi di allora si sono estesi, aggravati e complicati.
La decisione degli afgani (governo ed esercito) di non combattere contro il ritorno dei talebani è il segno più clamoroso del fallimento dell’intervento militare. A pagare il prezzo più alto, oggi sono proprio le persone che più hanno creduto alle promesse di libertà, democrazia e diritti. Tra queste ci sono le donne e i giovani che hanno lavorato per promuovere i diritti umani e far crescere una società civile, aperta e democratica.
Cosa avremmo dovuto fare nel 2001?
Come dicemmo nel 2001, la decisione americana di attaccare e invadere l’Afghanistan è stata sbagliata, illegale e pericolosa. Sbagliata perché ha provocato un numero impressionante di nuove vittime innocenti, nuove distruzioni e nuove violenze. Illegale perché era espressamente vietata dal diritto internazionale e dalla Carta delle Nazioni Unite. Pericolosa perché anziché fermare la spirale del terrore ha finito per alimentarla.
Gli attentati dell’11 settembre sono stati un fatto inedito che esigeva una risposta inedita.
Invece di attaccare e invadere l’Afghanistan bisognava scegliere un’altra strada più precisa ed efficace: la strada della legalità e della giustizia penale internazionale. Rinunciare a farsi giustizia da soli. Affidare all’Onu la responsabilità di agire a nome dell’intera umanità per sradicare i terrorismi con misure politiche, diplomatiche, finanziarie e di polizia internazionale…. … e andare alle radici dei problemi.
Cosa avremmo dovuto fare in questi 20 anni?
Invece di continuare a fare la guerra, in questi 20 anni avremmo dovuto:
costruire una strategia della comunità internazionale per l’Afghanistan e l’intera regione non più basata sul paradigma della “sicurezza militare” ma quello della “sicurezza umana” anche promuovendo lo sviluppo della cooperazione economica nell’intera regione; investire i due trilioni di dollari che abbiamo speso per fare la guerra per migliorare le condizioni di vita delle popolazioni dell’Afghanistan; promuovere il dialogo politico con tutti, a tutti i livelli;
raccogliere la domanda pressante dei familiari delle vittime afgane della guerra e del terrorismo di riconoscimento, ascolto, giustizia, sostegno e risarcimento;
investire sulle organizzazioni democratiche della società civile afgana consentendogli di organizzarsi e rafforzarsi, promuovendo il loro riconoscimento politico a tutti i livelli, allargando il loro spazio d’azione, rafforzando la loro voce, sostenendo i loro programmi di riconciliazione dal basso, di difesa e promozione dei diritti umani e della democrazia, di formazione e informazione indipendente.
Cosa possiamo fare oggi?
Primo. Fare i conti con le conseguenze di questo disastro. E con le nostre accresciute responsabilità. Non c’è nulla di facile. La guerra ha complicato le cose e ridotto gli spazi d’iniziativa. Ciononostante non abbiamo alternative.
Secondo. Salvare la vita di chi oggi rischia la morte. Salvare più vite possibili, ora! Non domani! Dare rifugio a chi sta cercando di mettere in salvo la propria vita. Soccorrere subito chi chiede aiuto.
Terzo. Promuovere il dialogo politico a tutti i livelli, da Kabul all’Onu, per promuovere il rispetto dei diritti umani, a partire dalle donne. Non c’è un altro modo. Dopo un così grande fallimento, è necessario cambiare strada. Chi non lo vorrà, ci farà pagare un prezzo ancora più alto.
Flavio Lotti, Tavola della pace - Marco Mascia, Centro Diritti Umani - Antonio Papisca dell’Università di Padova
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