Avevamo vinto, insomma? Qualcuno ha cominciato a dire di sì... (di G.Dozzini)
Alla fine siamo andati a festeggiare da Moussa, camminando nel buio e nel freddo della città invasa dalle baracche spettrali di Eurochocolate. I turisti sciamanti con le loro antennine colorate in testa, domenica, sembravano un presagio grottesco di ciò a cui ci saremmo dovuti di nuovo rassegnare: invece erano solo l'ammonimento di cos'è, comunque, il mondo, e perlomeno quella metà di mondo che ormai ha deciso di non andare più a votare.
Ieri è stata un'altra giornata lunga, di poca poesia e molta prosa, di tendini abusati e cellulari scarichi, prima le ore al seggio con Fabrizio, i finanzieri all'entrata che giocavano a ramino, le preferenze recitate oltre le porte, i disegni dei bambini appesi alle pareti tra le grandi lenzuola delle candidature. Quando intorno alle sei siamo andati al comitato forse avevamo già capito, ma indicibilmente. Ho parcheggiato nello spiazzo in cui parcheggiavo all'università, così lontano, follemente, e anche ieri più lontano di quel che avrei pensato, e al mio arrivo c'erano già quasi tutti. Al comitato che è una vecchia banca dismessa, al comitato che sembra un dancing anni Ottanta. Dentro, tra le colonne che si replicano, senza orientamento, fuori a ripeterci le stesse cose, a cominciare un discorso con uno e a finirlo con un altro. Facce amiche, facce sconosciute: l'Umbria non è Perugia, ma Perugia stavolta si è tirata dietro tutta l'Umbria. I trespoli delle televisioni, gli inviati annoiati, la stampa locale sfinita, i computer e i maxischermi rubati di notte, e le casse di birra e spumante, rubate anche quelle. La vittoria di Stefania Proietti ha preso forma lentamente nel brusio, senza colpi, senza brividi, qualcosa di impensabile per molti, difficile anche solo da concepire. E così, dopo cinque anni di pochezza e tracotanza, se ne vanno già. Spazzati via, messi di fronte allo specchio della loro inadeguatezza, che per chi ha potuto vederli dal vivo era lampante.
Avevamo vinto, insomma? Qualcuno ha cominciato a dire di sì, anche perché l'aveva detto Mentana, e l'aveva detto, a quanto pareva, YouTrend. Ma non eravamo convinti fino in fondo, mancavano i boati, mancavano gli strappi, mancava la liturgia necessaria. Io ho deciso di pensare che fosse vero quando è entrata Margherita sorridendo, quando Margherita veniva ad abbracciarmi. Erano tornati gli abbracci, quindi, e quindi sì, era vero. Poi è arrivato tutto il resto: Stefania Proietti, dietro alle braccia e alle teste, Vittoria Ferdinandi e Carlo Pagnotta, Fratoianni e Bonelli, il vino e la porchetta ed Elly Schlein. Nel frattempo era sempre più chiaro che anche la partita di Fabrizio era vinta. Così bisognava davvero festeggiare. Ho camminato nel buio e nel freddo, risalendo la lunga via che dalla stazione porta all'università, pensando poche cose. Che finalmente l'Umbria aveva finito di scherzare. Che Fabrizio Ricci in consiglio regionale era la chiusura di un cerchio. Che adesso dovevo evitare di farmi mettere sotto, perché sarebbe stato ridicolo.
Sono salito in macchina, ho parcheggiato al Mercato Coperto, sono arrivato in piazza Italia, dove tutto era cominciato con l'investitura di Vittoria, a febbraio, e dove finiva la storia del Brego in "Qui dovevo stare". Quella piazza gremita di fascisti e gente comune, ad acclamare sul palco Salvini venuto a incoronare la prossima presidente della Regione. Donatella Tesei. Era l'aprile del 2019, mi sembra ieri, e invece ieri è stata tutta un'altra storia. Perciò piazza Italia, davanti ai palazzi del potere, le bandiere di partito che sventolavano, e una bandiera rossa. Vecchia, impallidita, lacera. Ma rossa. E dritta sulle nostre teste. Era quindi arrivato il momento, perché il fatto si era compiuto. Stefania Proietti presidente, Fabrizio Ricci consigliere. Allora siamo andati a festeggiare da Moussa, a bere e cantare da Moussa, qualcuno a piangere, tutti a chiederci quanto ci sarà da imprecare e divertirci, adesso, adesso che tocca a noi, di nuovo e per la prima volta, che ci toccherà per un tempo lungo a sufficienza perché capiamo quanto di buono abbiamo da dare a questo posto e questa comunità.
In tutta onestà, confidiamo che sia tanto.
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