di Elio Clero Bertoldi

PERUGIA - Questo è l'autoritratto di Artemisia Gentileschi (1593-1653), pittrice romana. 
Raccontano che fosse bella e prosperosa e che essendo il padre Orazio pittore, avesse intrapreso fin da piccina l'arte pittorica, sebbene non sapesse ancora né leggere, né scrivere. 
Per migliorarla, in particolare nella prospettiva, il padre ingaggiò Agostino Tassi, che le fece da maestro frequentando casa Gentileschi.
Nel maggio del 1611 il "maestro", allora trentenne, approfittando della situazione, stuprò l'allieva. 
Ne nacque un processo, di cui sono rimasti in gran parte gli atti, nei quali l'accusato, per difendersi descrisse la vittima come una donna di malaffare, benché la ragazza non fosse ancora diciottenne. 
Non solo: corruppe testi, né citò altri falsi, tanto che Artemisia per dimostrare la sua verità fu sottoposta ad un dolorosissimo interrogatorio sotto tortura (alle mani).
Alla fine Tassi venne condannato all'esilio. Che non fece, in pratica, protetto come era da aristocratici e alti uomini di chiesa. 
Lei divenne una grande pittrice, ebbe due mariti, diverse relazioni amorose, due figlie, girò per l'Europa chiamata da regnanti e patrizi e morì a Napoli, probabilmente, di peste.

Condividi