Art.18. Il Pd si spacca. Ichino contro Fassina. Cgil: "Art.18 non è anomalia"
di Fabrizio Salvatori
Piero Ichino dice no alla proposta del Pd per la riforma del mercato del lavoro e nel suo intervento, al forum del partito, contesta proprio il cuore del progetto, cioè il contratto di ingresso, che “così come viene delineato non è affatto un contratto a tempo indeterminato ma un contratto a termine". Ichino critica come “blocco mentale" la difesa ad oltranza dei vertici del partito sull'articolo 18: “È applicato al 5% della forza-lavoro in Ue e non può esser considerato un diritto fondamentale immodificabile?".
Ichino premette che il progetto Boeri-Garibaldi-Nerozzi poteva essere “un punto di intesa unitario" ma la proposta illustrata dal responsabile economico Stefano Fassina si discosta dal ddl Nerozzi soprattutto nel fatto che “il contratto di ingresso non è affatto un contratto a tempo indeterminato ma un contratto a termine". E poichè, aggiunge, il contratto di ingresso dovrebbe sostituire l'apprendistato “peggioriamo anche la condizione dell'apprendista che ora viene assunto come contratto a tempo indeterminato". “A me sembra - incalza Ichino - che questo sia davvero irragionevole, un'impuntatura nominalistica totalmente priva di senso, basata oltretutto su un preteso principio che non ha fondamento: il mondo è pieno di contratti a tempo indeterminato senza art.18 e che non per questo sono considerati lesivi della dignità e libertà morale del lavoratore".
Per Ichino il periodo di prova di tre anni dovrebbe essere chiamato a tempo indeterminato anche se non c'è l'art.18. “Perchè - chiede rivolto al Pd - continuiamo a coltivare questa nevrosi o se preferite ipocrisia politica, non degna di un grande partito che si qualifica riformista e si candida a governare il paese? Un partito che si qualifica come riformista non può chiudere programmaticamente gli occhi sul panorama europeo delle tecniche di protezione della sicurezza economica e professionale dei lavoratori. La nostra incapacità di superare questo blocco mentale rischia di condannarci a rimanere tagliati fuori dal processo di riforma del lavoro che costituisce parte integrante del programma del governo Monti".
Inatnto, l'Ocse segnala che la rigidità in uscita colloca l'Italia al di sotto della media europea “e che il nostro paese non costituisca affatto un caso anomalo nel quadro europeo". A dirlo è il segretario confederale della Cgil, Fulvio Fammoni, citando l'analisi comparata contenuta in un rapporto dell'European labour law network, presentato a fine novembre al seminario sui temi del 'licenziamento individuale in Europà. Il rapporto, afferma Fammoni, sarà inviato al ministro del Lavoro Fornero. L'analisi comparata, osserva il sindacalista, “evidenzia come la tutela fondata sul reintegro, in caso di licenziamento illegittimo, non rappresenti affatto una anomalia del nostro ordinamento.
Del resto, nonostante la propaganda, anche Confindustria ha dovuto ammetterlo. Aggiungendo che sarebbe però meno utilizzato negli altri paesi". Fammoni rileva inoltre che “se scegliessimo la propaganda dovremmo rispondere: forse perchè negli altri paesi si fanno meno licenziamenti illegittimi. In realtà - prosegue - in tutte le realtà l'applicazione spesso porta ad un compenso economico risarcitorio per comune volontà delle parti. Quello che vale in Italia come in Svezia o in Germania è la funzione deterrente che la norma legislativa comporta, sul licenziamento così come sul rispetto di altri diritti".
Fonte: controlacrisi.org
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