Le innumerevoli polemiche politiche e sindacali relative a presunti vizi e accentuate virtù dell'art.18 dello statuto dei lavoratori hanno il merito di riproporre all'attenzione della collettività la questione dei diritti dei cittadini-lavoratori. È necessario fotografare la condizione attuale contrattuale dei lavoratori, una cui
minoranza gode ancora del diritto di poter ricorrere al giudice del lavoro in caso di illegittimo licenziamento, mentre, la stragrande maggioranza ha un rapporto di lavoro sancito da un contratto atipico, le cui garanzie in caso di contenzioso sono prossime allo zero.

Tutti i protagonisti delle odierne polemiche evitano di chiarire come sia stato possibile che in Italia siano state introdotte oltre 40 forme contrattuali alcune delle quali reintroducono di fatto, forme di sottomissione al datore di lavoro, in ossequio alla necessità di incrementare il Prodotto Interno Lordo. L'introduzione delle nuove forme contrattuali avviene con la legge 24/06/97 n. 196 meglio conosciuta come “decreto Treu “ dal nome del ministro del lavoro del governo di centro sinistra in carica, è per la cronaca la legge che ebbe l'approvazione di tutti i partiti che componevano la coalizione, PRC compreso.

Numerosi governi si sono succeduti, centro sinistra o centro destra poco cambia, ma la miriade di contratti atipici sono rimasti in vigore costringendo le nuove generazioni a confrontarsi con una precarietà lavorativa ed esistenziale mai viste. La situazione è così surreale che anche alcune organizzazioni sindacali utilizzano i contratti atipici per l'assunzione dei propri dipendenti. La ripresa economica da molti prevista, anche grazie alla riforma del lavoro (decreto Treu), non si è vista, siamo invece dentro ad una crisi recessiva molto seria e, per coerenza, la casta politica si è inventata un governo tecnico che insiste nella tesi che eliminando alcuni diritti dei lavoratori si possano agevolare gli investimenti nella penisola e di conseguenza l'occupazione.

Riteniamo queste tesi completamente destituite di fondamento. La causa della disoccupazione, sostanzialmente, si trova nella delocalizzazione delle imprese italiane all’estero dove il costo del lavoro è molto più basso, la tassazione è inferiore a quella italiana e il funzionamento della giustizia civile è di gran lunga migliore di quello italico; per non parlare poi delle clausole di adesione all'euro che hanno comportato
ulteriori svantaggi per i cittadini e i lavoratori, mentre hanno soddisfatto le aspettative del sistema finanziario.

Modificare l'articolo 18 sarebbe una vessazione nei confronti di quella fascia minoritaria di lavoratori che ne usufruiscono, senza alcun vantaggio per una economia liberista che non vuole fare i conti con i propri fallimenti storici. L’abolizione dei diritti sono solo una scelta politica arrogante di un governo che deve mostrare il comando, che deve avere il controllo del diritto tanto da poterne decidere le sorti. L’art. 18 è solo un preteso per dire che sui diritti si può, da adesso, contrattare e non più esigerli.
Noi non ci stiamo e come M5S lotteremo per modificare la rotta.

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