CITTA' DI CASTELLO - Marco Gambuli, l’avvocato che ha seguito le pratiche dei rifugiati politici somali di stanza a Città di Castello, e Alberto Bigi, agronomo che lavora nel mondo della cooperazione, sono stati i protagonisti dell’incontro promosso nell’ambito della mostra di Stefano Giogli “Ad occhi chiusi”, allestita insieme alla Caritas e visitabile fino al 10 maggio presso il Quadrilatero di Palazzo Bufalini. “Abbiamo scelto come titolo dell’iniziativa Dall’altra parte della storia perché non sempre la storia la scrivono i vincitori” ha spiegato don Paolino Trani, direttore della Caritas “Siamo nel bel mezzo di una crisi che pone pesanti interrogativi sull’attuale regime di produzione e di relazioni internazionali. Guardare all’altro non è solo un atteggiamento civile ma anche utile in un momento in cui saltano certezze e rendite di posizione anche nei paesi occidentali.

La Caritas incontrando i ragazzi tunisini e poi somali ha avuto una grande occasione per crescere, conoscere la realtà drammatica di chi è costretto a fuggire dalla propria patria e affrontare un destino incerto e forse non meno pericoloso. La mostra e le iniziative collaterali sono trasposizione della nostra esperienza e vogliamo pensare che anche i sei ragazzi che hanno ottenuto lo status di rifugiato, e che ora sono liberi di andare dove vogliono, ci ricorderanno”.

“Il diritto internazionale a partire dalla Convenzione di Ginevra ha previsto una tutela per chi è perseguitato e rischia la vita nel proprio paese, anche se non tutte le zone d’ombra sono state dissipate” ha detto Marco Gambuli, raccontando “la sequela burocratica di chi arriva in un barcone sulle coste di Lampedusa e deve avere una storia credibile per sperare di non essere respinto. Questi ragazzi si giocano tutto nei pochi minuti in cui compaiono davanti ad un pubblico ufficiale, che spesso trova incongruenti dettagli perfettamente plau-sibili nella cultura somala o tunisina. Noi abbiamo cercato di ricostruire il passato, drammatico, di molti di loro, documentando i soprusi e le violenze, i lutti, l’impoverimento da cui sono scappati. Se tutti conoscesse-ro da quali orrori provengono e che profondi segni hanno nella memoria, forse ci sarebbe un approccio di-verso da parte della pubblica opinione”.

“La migrazione è un trauma” ha detto invece Alberto Bigi “anch’io quando, da cooperante sono giunto in paesi stranieri, ho avuto bisogno di un periodo di adattamento e, pur avendo una posizione privilegiata, non è stato facile. Chi viene in Italia non lo fa per rubare il posto di lavoro ma perché non ha altra scelta. Altrimenti starebbe nel suo paese. Il 50 per cento della popolazione mondiale vive con meno di due dollari al giorno, il 12 per cento della popolazione mondiale consuma l’80 per cento di acqua. La Somalia è un caso da manuale per quanto riguarda le due cause principali di povertà: instabilità politica e precarietà economica. Pensiamo che siano cause endogeno ed invece risalgono alla colonizzazione e alla rivoluzione industriale, che ha tra-sformati quei paesi in pozzi senza fondo. Noi siamo responsabili di molte situazioni critiche mondiali: per questo non dovremo fare elemosina ma contribuire con progetti sostenibili, tali cioè da avere un proseguo quando la cooperazione sarà tornata a casa. Anche le associazioni non governative sono in qualche parte influenzate da interessi e strategie politiche: a suo tempo l’Italia ha investito tanto in Libano, quando altri paesi avevano maggiore bisogno, perché il Libano è un grande importatore italiano”.

La serata è stata aperta dalla recita del dialogo “Sprung e il nipote di Berlusconi”, scritto da Sara Scarabottini sulla base dei racconti dei ragazzi migranti e interpretato da Lucia Zappalorto e Federica Pauselli. Uno dei protagonisti della storia, il Presidente, è tra i somali che hanno ottenuto lo status di rifugiati ed ha già lasciato Città di Castello per una città del Nord dove l’attendono alcuni conoscenti. Durante il dibattito è intervenuto l’autore delle foto esposte Stefano Giogli, e Paolo Fossati, animatore dell’Oratorio Don Bosco, che ha parla-to del video in concorso al Venanzio Gabriotti, realizzato sull’immigrazione, con testimonianze dirette e do-cumenti veri.
 

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