di Nicola Bossi

PERUGIA - La legge sulle acque minerali di iniziativa popolare, proposta alla Regione da un comitato di Gualdo Tadino - terra e "acqua" della Rocchetta spa - ha dei lati positivi - come detto - e un lato (uno solo ma...) molto, ma molto rischioso.  I due rappresentanti del comitato promotore - Marco Becchetti ed Olga Fioriti - hanno ricordato che la loro legge, per certi versi simile a quella già in vigore in Toscana, prevede di assegnare la titolarità delle funzioni amministrative ai Comuni che provvederanno a riscuotere per sé il 70 per cento degli introiti delle delle concessioni trasferendo il 30 rimanente alla Regione (oggi la Regione riconosce ai comuni il 20 per cento ndr). 

Tradotto: affidare le licenze degli attingimenti ed eventuali ricerche ai Comuni e non alla Regione. Di per sè sarebbe una cosa normale. Nei fatti no. Chi conosce la storia del Rio Fergia, il fiume salvato dall'ennesimo imbottigliamento da parte di Idrea srl, si ricorderà che proprio il Comune di Gualdo Tadino era favorevole ad un progetto che è stato bocciato dal Tar e che dimostrava come il pozzo di acqua da imbottigliare era direttamente collegato al Fiume Fergia. Il Comune non avendo soldi addirittura aveva accettato che la campagna di informazione del sindaco, tramite un mezzo televisivo e giornali, fosse pagata direttamente dalla multinazionale intenzionata a sfruttare quel pozzo, sacrificando il fiume. 

Questo è l'esempio classico di come un comune, con pochi fondi e alle prese con una disoccupazione alta, possa cedere ai facili guadagni di una proposta di sfruttamento di una sorgente o di un pozzo. Meglio che la normativa rimanga alla regione che ha mezzi e un consiglio variegato per poter scegliere in piena libertà. O quasi. 
 

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