LE ACCUSE AD ISRAELE (di Raniero La Valle)
Nel giorno in cui l’Occidente, nella sua punta più estrema che oggi è impersonata da Netanyahu, ha raggiunto il massimo della sua ferocia, spargendo morte da Gaza a Teheran, il Corriere della Sera ha alzato un lamento contro l’Occidente perché sarebbe debole, arrendevole e fuori della realtà, tardo a riconoscere le minacce e le sfide che vengono dai suoi nemici e a prendere le contromisure del caso.
È un’accusa solenne, perché viene nel quadro di un’altra concezione del mondo, di un’altra antropologia rispetto a quelle giudicate oggi correnti, che il grande giornale della borghesia lombarda, organo del sistema, ci propone nella prima colonna della prima pagina del 31 luglio, a firma di Ernesto Galli della Loggia.
La critica severa che viene rivolta all’Europa, che insieme agli Stati Uniti è il cuore dell’Occidente, è di essere in piena decadenza; non è più come in passato quando avevamo ben chiaro gli antagonisti che dovevamo fronteggiare e reagivamo prontamente al pericolo. Uomini come Churchill e De Gaulle chi ce li dà più? Quelli ci hanno salvato dal naufragio perché conoscevano la storia, che è uno strumento formidabile per conoscere e comprendere la realtà negativa del mondo.
Ma oltre alla storia c’era pure un altro “strumento”, sospira il Corriere, che in modo potentissimo ci aveva messo in guardia sulla presenza del Negativo sulla scena del mondo, ed era stato il cristianesimo, oggi ridotto a ben poco nelle masse e quasi cancellato nella formazione delle élites per effetto della secolarizzazione. Chi te la dà più una cultura come quella cristiana con al centro l’idea del peccato originale, cioè dell’esistenza in ogni essere umano di un fondo oscuro predisposto al male, sempre pronto a riaffiorare?
E quale è la esecrabile conseguenza che viene da questo abbandono della storia e del cristianesimo in cui è incorsa l’Europa? Secondo il Corriere è che le riesce difficile trovare una risposta all’ostilità dei nuovi poteri mondiali, Russia e Cina in prima fila, da cui le vengono pericoli e sfide di ogni tipo. In Europa da quell’abbandono sarebbe derivata una mancanza di realismo che impedisce la consapevolezza stessa della vastità e della varietà delle minacce che incombono, delle intenzioni ostili degli attori internazionali e di rispondere come si deve. Ogni volta, invece di reagire, si tergiversa, si parla di diplomazia, si indulgerebbe all’attesa per non peggiorare le cose, e se alla fine una reazione arriva scattano inferocite prese di distanza e la gente grida “not in my name”. Agli occhi dell’articolista, una istintiva opzione di arrendevolezza pervaderebbe la nostra percezione degli eventi che il mondo ci scaraventa addosso. Sembra di sentire l’invettiva: ahi serva Europa! Ma se così fosse, una prudenza cioè per salvaguardare i popoli e il mondo, sarebbe proprio questo il bello dell’Occidente.
Ciò che l’Europa dovrebbe fare e non fa più secondo questa analisi, è di riuscire a pensare il Negativo. Di conseguenza anche il conflitto e la sua massima espressione, la guerra, sarebbero diventati alieni all’Europa: essi rappresenterebbero per lei dimensioni impossibili da pensare e quindi da accettare, così che è la realtà stessa che finirebbe per essere espulsa di fatto dal pensiero e dall’esperienza. Dunque la lezione che da tutto ciò si dovrebbe trarre è che bisogna cambiare pensiero, tornare al realismo del “meglio non aspettare”, e precipitarsi nel conflitto e nella guerra?
Il testo di cui abbiamo riferito quasi letteralmente, per quanto riguarda l’analisi che parla di una estinzione del pensiero di guerra, sembra in realtà un sussulto onirico, un sogno, ma come appello a prendere atto della disperata realtà del mondo e a schierarsi in una parte contro l’altra non fa che riproporre “l’immane potenza del negativo” che l’Occidente ha pur cercato di esorcizzare. Ma oggi Nietzsche si sente nell’aria.
In questo proclama che dovrebbe essere la nuova norma d’ingaggio dell’Europa e dell’Occidente, le prescrizioni sono pertanto le seguenti: la storia, come magistra vitae, dovrebbe tornare a insegnare che la guerra è il criterio e il fondamento di tutte le cose, e ad essa non si può far rinunzia senza che tutto il resto sia perduto; l’Occidente non può ammettere che nuovi giganti si affaccino sulla scena internazionale, non certo la Russia e la Cina; vale invece il principio, affermato negli ultimi documenti americani, secondo il quale non solo non ci deve essere alcuna potenza che superi quella degli Stati Uniti e dei loro alleati, ma nemmeno deve permettersi che alcuna altra potenza la eguagli. Il pluralismo del mondo è escluso, il rapporto con i popoli che escono dalla lunga povertà a cui sono stati soggiogati per secoli, non può essere di parità, ma di dominio.
Quanto poi al cristianesimo, di certo esso è finito se si rispecchia nel ritratto che ne fa il Corriere della Sera, ma è destinato a vivere se riesce a tenere aperta la speranza in un mondo alternativo rispetto a quello che così viene auspicato e descritto.
Nel giorno in cui l’Occidente, nella sua punta più estrema che oggi è impersonata da Netanyahu, ha raggiunto il massimo della sua ferocia, spargendo morte da Gaza a Teheran, il Corriere della Sera ha alzato un lamento contro l’Occidente perché sarebbe debole, arrendevole e fuori della realtà, tardo a riconoscere le minacce e le sfide che vengono dai suoi nemici e a prendere le contromisure del caso.
È un’accusa solenne, perché viene nel quadro di un’altra concezione del mondo, di un’altra antropologia rispetto a quelle giudicate oggi correnti, che il grande giornale della borghesia lombarda, organo del sistema, ci propone nella prima colonna della prima pagina del 31 luglio, a firma di Ernesto Galli della Loggia.
La critica severa che viene rivolta all’Europa, che insieme agli Stati Uniti è il cuore dell’Occidente, è di essere in piena decadenza; non è più come in passato quando avevamo ben chiaro gli antagonisti che dovevamo fronteggiare e reagivamo prontamente al pericolo. Uomini come Churchill e De Gaulle chi ce li dà più? Quelli ci hanno salvato dal naufragio perché conoscevano la storia, che è uno strumento formidabile per conoscere e comprendere la realtà negativa del mondo.
Ma oltre alla storia c’era pure un altro “strumento”, sospira il Corriere, che in modo potentissimo ci aveva messo in guardia sulla presenza del Negativo sulla scena del mondo, ed era stato il cristianesimo, oggi ridotto a ben poco nelle masse e quasi cancellato nella formazione delle élites per effetto della secolarizzazione. Chi te la dà più una cultura come quella cristiana con al centro l’idea del peccato originale, cioè dell’esistenza in ogni essere umano di un fondo oscuro predisposto al male, sempre pronto a riaffiorare?
E quale è la esecrabile conseguenza che viene da questo abbandono della storia e del cristianesimo in cui è incorsa l’Europa? Secondo il Corriere è che le riesce difficile trovare una risposta all’ostilità dei nuovi poteri mondiali, Russia e Cina in prima fila, da cui le vengono pericoli e sfide di ogni tipo. In Europa da quell’abbandono sarebbe derivata una mancanza di realismo che impedisce la consapevolezza stessa della vastità e della varietà delle minacce che incombono, delle intenzioni ostili degli attori internazionali e di rispondere come si deve. Ogni volta, invece di reagire, si tergiversa, si parla di diplomazia, si indulgerebbe all’attesa per non peggiorare le cose, e se alla fine una reazione arriva scattano inferocite prese di distanza e la gente grida “not in my name”. Agli occhi dell’articolista, una istintiva opzione di arrendevolezza pervaderebbe la nostra percezione degli eventi che il mondo ci scaraventa addosso. Sembra di sentire l’invettiva: ahi serva Europa! Ma se così fosse, una prudenza cioè per salvaguardare i popoli e il mondo, sarebbe proprio questo il bello dell’Occidente.
Ciò che l’Europa dovrebbe fare e non fa più secondo questa analisi, è di riuscire a pensare il Negativo. Di conseguenza anche il conflitto e la sua massima espressione, la guerra, sarebbero diventati alieni all’Europa: essi rappresenterebbero per lei dimensioni impossibili da pensare e quindi da accettare, così che è la realtà stessa che finirebbe per essere espulsa di fatto dal pensiero e dall’esperienza. Dunque la lezione che da tutto ciò si dovrebbe trarre è che bisogna cambiare pensiero, tornare al realismo del “meglio non aspettare”, e precipitarsi nel conflitto e nella guerra?
Il testo di cui abbiamo riferito quasi letteralmente, per quanto riguarda l’analisi che parla di una estinzione del pensiero di guerra, sembra in realtà un sussulto onirico, un sogno, ma come appello a prendere atto della disperata realtà del mondo e a schierarsi in una parte contro l’altra non fa che riproporre “l’immane potenza del negativo” che l’Occidente ha pur cercato di esorcizzare. Ma oggi Nietzsche si sente nell’aria.
In questo proclama che dovrebbe essere la nuova norma d’ingaggio dell’Europa e dell’Occidente, le prescrizioni sono pertanto le seguenti: la storia, come magistra vitae, dovrebbe tornare a insegnare che la guerra è il criterio e il fondamento di tutte le cose, e ad essa non si può far rinunzia senza che tutto il resto sia perduto; l’Occidente non può ammettere che nuovi giganti si affaccino sulla scena internazionale, non certo la Russia e la Cina; vale invece il principio, affermato negli ultimi documenti americani, secondo il quale non solo non ci deve essere alcuna potenza che superi quella degli Stati Uniti e dei loro alleati, ma nemmeno deve permettersi che alcuna altra potenza la eguagli. Il pluralismo del mondo è escluso, il rapporto con i popoli che escono dalla lunga povertà a cui sono stati soggiogati per secoli, non può essere di parità, ma di dominio.
Quanto poi al cristianesimo, di certo esso è finito se si rispecchia nel ritratto che ne fa il Corriere della Sera, ma è destinato a vivere se riesce a tenere aperta la speranza in un mondo alternativo rispetto a quello che così viene auspicato e descritto.
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