Un 8 marzo sottotono quello che ci apprestiamo a ricordare. Non c’è in giro molta voglia di celebrazioni…del resto cosa abbiamo da festeggiare? Le donne dell’Umbria, come tante altre, fanno i conti con una crisi economica che le espelle per prime dal mercato del lavoro, una famiglia che da fonte di gioia si rivela spesso elemento di freno, colpa dei sempre più scarni servizi per i figli, gli anziani, i disabili, perfino per le mansioni familiari che ricadono ancora in larga parte su spalle femminili. La cronaca di ogni giorno aggiunge al quadro episodi di mobbing, pressioni e ricatti sessuali organici a un sistema clientelare ancora diffuso e capillare, fino alla violenza di compa-gni ed ex mariti che si trasformano in aguzzini.

Urge cambiare e per farlo occorre lavorare su prospettive nuove, alternative, suffragate da fatti concreti. I dati dicono inequivocabilmente che l’equilibrio tra componenti maschili e femminili ai vertici aziendali incide in modo positivo sulle prestazioni delle imprese, sulla competitività e sui profitti.

Un recente studio McKinsey dimostra come le società con eguale rappresentazione di genere realizzino profitti del 56% superiori rispetto a quelle senza alcuna componente femminile ai vertici. Un’altra analisi condotta da Ernst & Young sulle 290 principali società europee quotate in borsa, rivela che le imprese con almeno una donna nel consiglio d'amministrazione ottengono utili più alti delle corrispondenti a conduzione unicamente maschile. Malgrado ciò, se prendiamo in esame i consigli direttivi delle principali aziende europee, solo un membro su sette è donna, ovvero il 13,7% (dati aggiornati al gennaio 2012). La Commissione europea punta a una quota del 40%. Continuando di questo passo ci vorranno altra quarant'anni prima di ottenerla.

Che fare, quindi? Poiché “l’autoregolamentazione finora non ha portato risultati soddisfacenti”, Viviane Reding (Commissaria Giustizia della Ue) non esclude il ricorso a una legge europea sulla quote rosa: “Non sono una grande fan delle quote tuttavia mi piacciono i risultati che ottengono” ha detto Reding durante il lancio di una consultazione pubblica destinata a promuovere la parità tra sessi.

Gli ultimi dati sulle presenze femminili nei Consigli di amministrazione delle società quotate, vedono in testa Finlandia (27,1%), Lettonia (25,9%), Svezia e Francia (rispettivamente 25,2% e 22,3%). L’Italia? Occorre scendere al 6,7%, un dato molto in-feriore alla media europea. Peggio di noi stanno solo Malta, Cipro, Ungheria, Lussemburgo e Portogallo. E intanto la legge italiana sulla presenza femminile nei CDA, è slittata al 2013.

Per quanto concerne il settore pubblico, se parliamo di rappresentanza politica, ovve-ro di chi accede alle “stanze del potere”, c'è di che preoccuparsi. In Italia i consiglieri regionali di genere femminile sono 93, pari al 13,3%. L’86,7% resta dunque patrimonio del genere maschile.

In Umbria il quadro delle percentuali è migliore, ma non soddisfacente: a fronte di un corpo elettorale composto dal 52% di donne, i candidati di genere femminile sono stati 65 su 185, ovvero il 35%, mentre i consiglieri regionali eletti del medesimo genere sono stati 6 su 31, ossia il 19%.

Cosa vuol dire questo? Che le poche donne in lista erano peggiori degli uomini? Che non sono state votate? O forse scattano altri meccanismi che bloccano l’elezione delle donne, facendole impattare in una sorta di “soffitto di cristallo”, a dispetto di tutte le garanzie democratiche vigenti?

Una riflessione è necessaria. I fatti dimostrano che finché non si raggiungerà un equi-librio di rappresentanza gli scompensi tra diritti e opportunità permarranno. In tal senso risulta interessante la riforma della legge elettorale regionale che vorrebbe introdurre la doppia preferenza di genere. Secondo questa proposta l’elettore può esprimere fino a due preferenze purché di genere diverso. Non si infila una donna a forza nel seggio ma le si offre la possibilità di correre alla pari. Se il più votato risulterà il candidato maschio, nessun problema. E così per l'elettore che volesse limitare la propria scelta a un solo candidato maschio. Se, tuttavia, le indicazioni sulla scheda sono più di una è necessario che ci sia un equilibrio tra i due generi. Per assurdo, se la scelta principale ricade su una donna, la seconda preferenza (nel caso la si voglia esercitare) dovrà essere di genere maschile, a tutela dell'uomo.

In realtà questo sistema privilegia “l'assortimento” dei generi, un concetto più che assodato. Chi manderebbe i propri figli in classi esclusivamente maschili o femminili? La maggior parte di noi privilegia le classi miste. Perché non dovrebbe essere così in politica o nei consigli d'amministrazione?

Questo disegno di legge è stato approvato in Commissione Affari Costituzionali della Camera, proprio per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte regionali e negli enti locali. Utilizzato nelle ultime elezioni regionali in Campania ha permesso di passare da 2 a 14 il numero delle donne elette. A parole i partiti si dicono d’accordo ma nei fatti nulla si è mosso ancora. I disegni di legge giacciono nei cassetti, le stesse proposte del Centro Pari Opportunità umbro non sono state recepite.
I tempi, invece, sono maturi per prendere decisioni forti e uscire dal guado dell'attendismo più retrivo.

Ocorre il coraggio delle donne capaci di fare squadra in modo tra-sversale e degli uomini in grado di riconoscere un valore e un merito a questo nuovo modello sociale. Il che, tradotto in politica, vuol dire passare dalla poltrona al divano a due posti.

Emanuela Arcaleni,
Componente Coord. Provinciale Idv e Assemblea Centro Pari Opportunità

 

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