PERUGIA - Dai dati diffusi in questi giorni dall’INPS emergono segnali apparentemente contraddittori sulla situazione sociale e del lavoro in Umbria. Da un lato, sul versante della Cassa Integrazione si rileva una riduzione (in alcuni casi anche consistente) nel ricorso agli ammortizzatori sociali.

Vediamo nel dettaglio i dati.

Cassa integrazione ordinaria: in Umbria nel 2017 l’utilizzo è stato pari a 2.200.200 ore, con una riduzione del 34,5% rispetto al 2016.
Cassa integrazione straordinaria: 5.716.937 ore, con una riduzione del 8,1% rispetto al 2016.
Cassa integrazione in deroga: 1.444.329 ore, con un aumento, in questo caso, del 21,3% rispetto al 2016.
Il totale delle tre tipologie di Cig dà il seguente risultato: 9.339.536 ore, con una riduzione complessiva del 13,1% rispetto al dato finale del 2016.

Da questi dati si potrebbe ipotizzare una riduzione dell’impatto negativo della “crisi”, che dal 2008 sta colpendo duramente la nostra regione. Ma in realtà vanno presi con molta cautela, per due motivi fondamentali: la riduzione nel ricorso alla Cig (- 13,1%) è molto meno marcata di quanto non sia avvenuto a livello nazionale (-39,4%) e inoltre va sempre tenuto presente che l’apparato manifatturiero della nostra regione si è ridotto di almeno il 25% ed è evidente che un comparto ridimensionamento comprime anche la richiesta di ammortizzatori sociali.

Ma che la crisi continui a mordere duramente nella nostra regione è dimostrato anche dalle domande di disoccupazione (dato fornito sempre dall’INPS). Infatti, le richieste di disoccupazione presentate nel 2017 risultano essere 23.657. Erano 22.487 nel 2016, con un aumento di oltre il 5%. Inoltre, nel solo mese di gennaio, sono state presentate in Umbria ben 2.647 domande, un dato che, se il trend venisse confermato, lascia ipotizzare un ulteriore aumento nel 2018.

Se a questo dato fornito dall’Inps affianchiamo quello di Istat che ci parla di 42mila disoccupati e di 23mila giovani che non studiano né lavorano, è evidente che non possiamo abbandonarci a facili ottimismi che non trovano riscontro nella realtà. Servono politiche economiche alternative, investimenti pubblici e privati, per contrastare il lavoro povero e precario. In sintesi, è necessario un Piano del Lavoro che ridia diritti e dignità e che guardi al futuro della nostra regione!

 

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