2 DICEMBRE 1968, L'ECCIDIO DI AVOLA
7 DICEMBRE 1968 PROTESTA DI CAPANNA E DEL MOVIMENTO STUDENTESCO DAVANTI ALLA SCALA
OGGI E' L'ANNIVERSARIO DEL TERRIBILE ECCIDIO DI AVOLA, compiuto il 2 dicembre del 1968. Il Ministro degli Interni Franco Restivo, un democristiano fascistoide della destra Dc, compagno di corrente del famigerato Scelba, e il prefetto D'Urso, ordinarono a Poliziotti e Carabinieri, armati di fucili a ripetizione e mitra, di sparare sui contadini ad Avola, in Sicilia. Era una manifestazione di contadini disarmati, poveri, pacifici, che giustamente protestavano contro le gabbie salariali (che consentivano paghe diverse e più misere a lavoratori che svolgevano le stesse mansioni) e per l'eliminazione del caporalato gestito dalle organizzazioni mafiose e dai grandi proprietari terrieri. Fu un avvenimento spaventoso, incredibile, per 25 minuti poliziotti e carabinieri, con mitra, fucili e pistole, spararono ad altezza d'uomo contro il corteo dei contadini. Due furono ammazzati e 50 feriti, alcuni così gravemente da restare invalidi. (DI SEGUITO VI ALLEGO UN BREVE RESOCONTO DEI FATTI PUBBLICATO DA UN GIORNALE SICILIANO. LEGGETELO, E' AGGHIACCIANTE, PARADIGMATICO E CHIARISSIMO SULLA DINAMICA DELL'ECCIDIO).
PER AVOLA IL 7 DICEMBRE, MARIO CAPANNA E IL MOVIMENTO STUDENTESCO, PROTESTANO DAVANTI ALLA SCALA.
Il banalismo idiocratico dei mezzi di disinformazione ha sempre presentato questo evento, la contestazione alla Scala, come gli studenti che protestano contro i ricchi milanesi. Invece ha radici di profonda umanità (la solidarietà con i contadini di Avola) e di geniale originalità politica. Mario sapeva che bisognava fare qualcosa di più del solito comunicato di sdegno e di condanna. E così il Movimento Studentesco inaugura un metodo di lotta totalmente nuovo per accendere un riflettore su un crimine altrimenti oscurato. Un colpo di genio.
1) Per la prima volta il messaggio è che gli studenti non si occupano solo delle questioni universitarie, ma sono un un settore di lotta assieme ad altri settori sociali e ad altri movimenti, che si battono per l'emancipazione e la democrazia.
2) E' da quella sera che nasce e diventa popolare lo slogan "Nord e Sud uniti nella lotta".
- DI SEGUITO IL RESOCONTO AGGHIACCIANTE FATTO DA UN GIORNALISTA LOCALE DI QUELLO CHE E' SUCCESSO IL 2 DICEMBRE DEL 1968 AD AVOLA.
"Ormai è guerra. Gli operai sono presi letteralmente tra due fuochi. Vomitano piombo di fronte a loro e alle loro spalle i mitra Beretta, i moschetti, e le pistole di almeno due calibri diversi, il 9 e il 7,65. Colpi a raffica, centinaia di proiettili: l’indomani Nino Piscitello scaricherà alla Camera due chili e mezzo di bossoli. Sono colpi precisi, diretti con cura ad alzo zero da quando un ufficiale - per dare l’esempio ad agenti esitanti - ha strappato di mano il moschetto ad un graduato ed ha sparato dritto contro un gruppo che tentava di ripararsi dietro un muretto.
Paolo Caldarella alza una mano in segno di tregua: un colpo gliela trapasserà. Poi cade Giorgio Garofalo: una fucilata gli ha forato in otto punti le anse intestinali (si salverà grazie a tre operazioni).
Un’altra fucilata spezza un femore ad Antonino Gianò. E Sebastiano Agostino è colpito al petto poco lontano da Orazio Agosta.
Quando non sono i moschetti e i mitra a farlo, sono le pistolettate che feriscono gravemente Giuseppe Buscemi, Paolo Caldarella, Rosario Migneco, Orazio Di Natale.
E’ un crescendo di violenza selvaggia, talmente insensata che a notte, all’ospedale di Siracusa, un agente colpito alla testa da una pietra continuerà per ore a gridare nel delirio: «Comandante! Comandante! E’ un’infamia... E’ il tiro al bersaglio... Lasci stare la pistola! Così li stiamo ammazzando!».
E infatti due braccianti moriranno tra atroci sofferenze.
Così viene ucciso Angelo Sigona, 25 anni da Cassibile: inseguito, braccato tra gli alberi, fucilato davanti ad un muretto. Raccolto in un lago di sangue da due compagni, non basteranno a salvarlo due interventi, prima all’ospedale di Noto e poi a quello di Siracusa. Così è ammazzato anche Giuseppe Scibilia, 47 anni da Avola, pure lui inseguito a trecento metri dal luogo degli scontri e centrato al petto. Non si saprà mai se ad ucciderlo sia stato quell’ufficiale visto da tutti (ma da nessuno identificato) mentre gridava ai suoi uomini che gli passassero i caricatori per il suo personale, allucinante western. Forse è lui il "comandante" citato nel delirio dall’agente ferito.
O forse no, perché in effetti, come racconterà più tardi Orazio Agosta, «tutti, ma proprio tutti, sparavano.
Ho visto poliziotti sparare anche contro i serbatoi delle motociclette dei braccianti perché prendessero fuoco e provocassero ancor più casino ». Venticinque minuti dureranno sparatorie e incendi e caroselli: da un lato duecento armi, dall' altro mille pietre. Tra i braccianti, due morti e cinquanta feriti gravi colpiti da arma da fuoco;
la notizia della tragedia scuote l’Italia intera".
 

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