di Marcello Catanelli

C’era una volta una scuola materna, costretta a chiudere perché ad un suo alunno era stata diagnosticata l’infezione da Covid 19. Poco dopo viene formulata una simile diagnosi ad un altro compagno. Una bambina della stessa scuola, compagna inseparabile di quest’ultimo, accusa febbre alta. Effettua un tampone dopo una fila in auto con il padre di oltre quattro ore e risulta anche lei positiva al Covid 19. Che fare con i suoi due fratellini, con i genitori e i nonni? L’evidenza scientifica ma anche il buon senso vorrebbe che si avviasse un “tracciamento” almeno dei suoi familiari, attraverso un tampone mirato a questo gruppo a rischio. Da parte della Asl di competenza nessun segnale in questo senso. Nel frattempo la madre accusa perdita del gusto e dell’olfatto, nonché una compressione al petto. Il tutto viene segnalato alla Asl, perché anche una nonna denuncia una forte febbre, mentre un’altra nonna si sottopone privatamente ad un esame sierologico, per sapere se è entrata in contatto con il virus. Contattata la Asl a proposito non risulta traccia di tale denuncia e si avvia solo la procedura per un nuovo tampone della bambina, per valutare il suo stato di contagio, visto il sensibile attenuarsi dei sintomi. La madre sollecita di essere sottoposta a tampone che viene effettuato dopo una settimana di chiusura della scuola e dopo un’attesa di tre ore in auto. Nessuna indicazione riguardo il padre e i fratellini, mentre la madre, attraverso vie amicali non ufficiali, scopre la sua positività ma scopre anche non esiste traccia del contagio nella sua famiglia nel sistema informativo aziendale e quindi non esiste nessun procedimento di controllo sanitario né provvedimenti informativi. Il medico di base del padre interpellato confessa di non sapere che fare, membri del Comitato Scientifico (sic) Regionale sono contattati senza esito, né si hanno indicazioni da parte dei dirigenti regionali preposti.

La favola è ambientata in Umbria, nell’ottobre 2020.

 

Morale:

 

1. Ai tamponi, effettuati con enorme disagio dei cittadini, non seguono, una volta positivi, i necessari percorsi di tracciamento, per pianificare le altrettante misure di isolamento.

2. Non esistono protocolli che disciplinino le misure di isolamento, per individuare modalità e tempi di tale misura.

3. Non esistono sportelli, anche telefonici, per informare i cittadini sulle misure da adottare una volta accertato il contagio da Covid 19, né la Medicina generalista o i servizi pubblici territoriali sono messi in grado di svolgere tale funzione.

4. La tecnostruttura regionale, impoverita di risorse e ormai priva di ogni autorevolezza, non esercita più da anni il suo ruolo istituzionale di indirizzo e di coordinamento, non tollerando le Aziende sanitarie di essere tecnicamente sovraordinate, volendo rispondere direttamente ed esclusivamente al potere politico, di cui sono espressione.

5. Il cosiddetto Comitato Scientifico regionale, vero cimitero di elefanti, potrebbe essere debitamente sostituito da un Comitato di Direzione regionale, Coordinato dal Direttore Generale e composto dai Dirigenti di tutti i Servizi regionali, ammesso che ancora si trovino operativi e integrato dai Direttori sanitari delle Aziende, ammesso che siano autonomi dal Direttore Generale aziendale, da cui sono nominati.

6. Il Servizio Sanitario Nazionale, falcidiato da decenni di tagli finanziari, impoverito culturalmente e professionalmente, penalizzato dalla aziendalizzazione, mortificato dalla regionalizzazione, se non riformato radicalmente con risorse garantite, non è nelle condizioni non solo di gestire la pandemia da coronavirus, ma neanche di tutelare la salute dei cittadini, tantomeno di coloro che lo sostengono pagando le tasse.

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