Quattordici anni fa, proprio il 14 ottobre, si spegneva nel carcere di Perugia Aldo Bianzino.
Ancora una volta, nel nostro piccolo, rilanciamo l’appello affinché si riaprano le indagini sulla vicenda e si riaccendano i riflettori sulla sua morte.
Aldo viveva a Pietralunga, un piccolo paese arroccato sui monti ai margini della provincia di Perugia. Per chi come noi c’è stato tante volte, per chi conosce le persone del luogo, per chi insomma è umbro, di nascita o di adozione, questa vicenda è ancora più dura da raccontare.
Era una brava persona Aldo, una persona semplice che, come spesso dice Rudra, suo figlio, non aveva mai fatto male a nessuno. Anzi si era sempre speso e prodigato per chi ne aveva bisogno e il suo modo di essere ed il suo carattere emergono dai racconti di tutti quelli che lo hanno conosciuto.
Aveva appena 44 anni quando, il 12 ottobre 2007, alcuni agenti durante una perquisizione nella sua dimora trovano poche piante di marijuana. Piante ad uso strettamente personale.
Lo portano via insieme alla moglie, Roberta, lasciando Rudra, che all’epoca è solo un ragazzino, con la nonna novantenne.
Due giorni dopo, mentre la stanno rilasciando, Roberta chiede di vedere il marito e gli agenti gli dicono che è impossibile perché è deceduto.
La morte di Aldo le viene riferita così. Per la famiglia inizia un terribile travaglio. La madre e la nonna di Rudra non reggono allo stress e lo lasciano presto, così rimane lui, lui da solo a combattere la battaglia per sapere la verità sulla morte del padre.
Perché non è affatto chiaro come sia morto Aldo Bianzino.
Secondo la ricostruzione degli agenti, il detenuto sarebbe stato ritrovato esanime nella sua stanza e sarebbe stato condotto davanti all’infermeria per praticare una rianimazione, poi fallita. L’autopsia rileva ematomi cerebrali, lesioni al fegato e alla milza che vengono collegati a “evenienze traumatiche” legate al tentativo di rianimazione. La morte sarebbe stata causata da un aneurisma cerebrale.
I vari processi che seguiranno porteranno alla condanna di uno degli agenti penitenziari per omissione di soccorso. Restano tuttavia moltissimi dubbi che lo scorso anno Rudra e i suoi legali - insieme anche agli altri fratelli Aruna ed Elia - hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica depositando un'istanza per la riapertura delle indagini. Innanzitutto è stato acclarato che la foto inserita nella perizia in cui viene mostrata la zona in cui ha avuto origine l’aneurisma non è riconducibile a Bianzino. Restano inoltre molti dubbi legati all’origine delle echimosi interne di Aldo che, secondo i periti della parte civile, sarebbero da datare prima del decesso e non dopo.
Insomma una vicenda ben poco chiara su cui, come detto, è bene che si torni ad indagare e soprattutto si tengano costantemente accesi i riflettori della stampa.
Perché Aldo e tutti quelli che come lui sono morti nelle mani dello Stato meritano giustizia e verità.
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