di Marcello Catanelli - Archivio Catanelli Perugia.

Perugia poteva rivendicare, in un passato non molto remoto, un ruolo di metropoli, nel senso di città madre, non solo in Umbria ma in larga parte dell’Italia centrale, esclusi i due poli di Firenze e Roma. Poteva rivendicarlo sulla base di tre elementi: un tessuto industriale di alto livello qualitativo e quantitativo, con in testa la Perugina, leader mondiale del settore dolciario; la presenza dell’Università degli Studi e dell’Università per Stranieri; la capacità di attrarre abitanti e residenti per la qualità della vita e per l’offerta di servizi.
Tutti questi tre elementi sono stati negli ultimi anni se non ridimensionati addirittura azzerati.
A partire dal tessuto produttivo, con la Perugina relegata a fabbrica periferica di una multinazionale interessata solo a mantenere posizioni di nicchia nel mercato internazionale e quindi disinteressata a ricerca e sviluppo tecnologico.
Le due università vivono una crisi profonda di iscritti e mancano di seri progetti accademici, in grado di rilanciare sè stesse e la città sul piano culturale ed economico, nonostante la grande credibilità maturata nel passato sul piano nazionale e internazionale.
Rimane una massa critica di oltre 160.000 persone, tra residenti e abitanti, dispersi in una area urbana vasta e disomogenea, policentrica e sbilanciata, con una identità sfumata e incerta.
Perugia ha perso la qualità del suo costruito, che andava riqualificato, non affidandosi al mercato ma a precise scelte programmatorie, facendo leva sulla mobilità alternativa, di cui Perugia era stata antesignana con le scale mobili e il minimetrò, in grado di ridisegnare il tessuto urbanistico e con esso la qualità della vita di migliaia di cittadini.
Il Trasporto pubblico, gli asili nido, le scuole materne, le case della salute, gli sportelli di cittadinanza, il tutoraggio sociale, la vigilanza (non polizia) urbana, sono derubricati a centri di costo e non considerati fattori di sviluppo, strumenti anche della tutela, della inclusione e della sicurezza, antidoti alla rabbia e alla disperazione. Tra i servizi sociali va intesa anche l’offerta commerciale, vero e proprio spazio sociale, indicatore di vitalità e salubrità urbana. Su questo terreno si gioca la partita fondamentale della giustizia sociale e del “risarcimento” di strati sociali deboli e impoveriti dalla crisi sanitaria ed economica prodotta dalla pandemia.
Se Perugia non si affidasse alla tutela dell’esistente, ma al suo incremento, qualitativo e quantitativo, potrebbe recuperare un ruolo egemone (in senso gramsciano) in Umbria e nell’Italia di mezzo.
Sono problemi aperti, sicuramente di difficile soluzione, ma bisognosi di maggiore determinazione politica e di rinnovata capacità di innovazione tecnica.

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