di Minuto Settantotto
I calciatori di PSG e Basaksehir, dopo che il quarto uomo – il rumeno Sebastian Coltescu – indica all’arbitro il vice allenatore della squadra turca – il camerunense Pierre Webo – con la frase “tipul acesta negru”, abbandonano il campo in segno di protesta. La frase in rumeno si può tradurre con “quel ragazzo nero”, dove “negru” indica il colore della pelle e non ha nessuna accezione dispregiativa. Il problema, sollevato immediatamente e in maniera energica dall’attaccante Demba Ba, non era l’intento offensivo del quarto uomo, ma “perché quando ti rivolgi ai ragazzi bianchi usi solo il termine “ragazzi” e quando ti rivolgi ai ragazzi di colore usi il termine “ragazzi neri”?” Inoltre, aggiungiamo noi e probabilmente se fosse ancora vivo si chiederebbe anche Frantz Fanon, perché un uomo di quasi 40 anni viene chiamato “ragazzo”, in un’eterna fanciullezza della pelle nera, quel “metà diavolo metà bambino” che rimanda al fardello dell’uomo bianco di Rudyard Kipling? [...]
Le parole sono importanti. Sono importanti soprattutto in un contesto come quello del torneo di calcio per club più conosciuto e seguito al mondo, in un contesto dove le figure come Coltescu sono preparate adeguatamente attraverso corsi di sensibilizzazione e comportamento, dove un vice allenatore non può essere assolutamente chiamato “ragazzo nero” ma Signor Webo, o dove perlomeno hai una padronanza dell’inglese sufficiente per esprimerti senza sembrare un troglodita. L’intento offensivo o meno del Signor Coltescu non ha la minima importanza in questa faccenda, dove tutto gira intorno alla sua inadeguatezza in un mondo che sta provando a diventare un posto di pari dignità per tutti i suoi abitanti. [...]
Parlare di Bolsonaro, di Erdogan e di Salvini come commento a un’espressione inaccettabile di un quarto uomo durante una partita di Champions League non è divagare o voler togliere importanza a cosa è successo su quel campo, cercare di spostare i riflettori da Pierre Webo e Demba Ba: è lo stesso meccanismo che spiega Carl Schmitt in Teoria del partigiano: con il partigianato teorizzato da Lenin si passa da una guerra come “gioco convenzionale” – che possiamo vedere nelle belle iniziative antirazziste della Uefa, con lo scopo di chiudere in una gabbia istituzionale le reazioni dei calciatori vittime di razzismo sui campi da calcio – ad un’inimicizia assoluta, che non conosce limiti, regolamenti o convenzioni – che ci piace associare alla stessa reazione intransigente di Demba Ba e Pierre Webo, che esce dal campo e che non può permettersi di risparmiare nessuno proprio con la stessa intransigenza mostrata a Parigi.
 

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