Intervista di Aldo Torchiaro a Fausto Bertinotti

da Il Riformista: https://www.ilriformista.it/la-super-league-era-un-tentativo-dei-ricchi-contro-la-democrazia-intervista-a-fauso-bertinotti-212414/

Fausto Bertinotti è preoccupato, quando guarda alla dinamica con cui si svolge il processo che definisce di “secessione” dei grandi club dalla Lega calcio. Un processo finanziato da fondi sovrani americani e sauditi, sotto la spinta di grandi convergenze.

 

Una Lega dei grandi club di che cosa ci parla?

Il calcio, senza snobismi, è una parte importante del nostro contemporaneo, simbolico e reale. E dunque va sempre preso molto sul serio. È una disciplina a tutto tondo.

Oggi siamo di fronte a un fatto non facilmente prevedibile: si tratta di una secessione. Per usare una categoria classica, viene in mente la nozione di sovversivismo delle classi dirigenti, che Gramsci padroneggiava con grande cura.

 

La secessione dei ricchi che possono fare a meno degli altri.

Da un lato è una ipotesi separatista che assolutizza il mondo dei ricchissimi e dall’altra parte è una operazione sovversiva perché rovina l’ordine delle cose esistenti, sovverte l’ordine. Come mai si permettono questo? A uno verrebbe da pensare che ad ogni atto politico, anche questo andrebbe misurato sul consenso. E invece lo strappo, che è uno dei tratti che ci conduce nel post-moderno, è che i potentissimi se ne possono fregare del consenso. Il tema dell’egemonia, per cui devi dirigere, non devi solo comandare, precipita: sai cosa c’è di nuovo: noi possiamo fare senza il consenso.

 

E perché possono permetterselo?

Perché il grande capitale, la finanza, ha stretto un’alleanza con l’alta tecnologia, che pervade e cambia i connotati stessi dell’informazione, è in grado di fare da sé, è insieme potere, governo e politica.

 

Una e trina.

Sussume dentro di sé tutte le categorie: pensa di poter fare a meno non più solo del popolo, un percorso già visto e già avviato. Adesso pensa di poter fare a meno anche degli altri poteri. Secondo me il carattere oligarchico nel calcio trova il terreno più fertile, come si vede, per venire alla luce.

 

Una calciocrazia, l’ultimo stadio della democrazia?

Direi di sì. Per un verso è in tendenza con il carattere crescentemente oligarchico di tutte le funzioni che conosciamo, a partire dagli Stati. Comprese le organizzazioni di categoria. Su questa tendenza oligarchica fanno un salto ulteriore. Noi facciamo senza il consenso, ma voi che vi opponete non è che ne avete tanto.

 

Qui si mostra una funzione iperliberista?

Sì, nel senso che davanti a questo potere finanziario-tecnologico, il potere della secessione, è sorprendente vedere la reazione della noblesse che si contrappone: Macron, Johnson, Draghi… i governi intervengono immediatamente, perché “de te fabula narratur”. Se si comincia con il calcio, domani può toccare a noi. Tutto è relativo, tutto cambia. Anche la Uefa una volta era forte. Anche i campionati nazionali di calcio erano forti. Pure questa economia del potere nel calcio, questa architettura aveva una solidità, come quella degli Stati. Si entra in una dinamica per la quale il potere che pure è grande, non basta più a chi pensa di poterne guadagnare il monopolio. Un conto è essere prevalenti, dover fare i conti con gli altri, un altro smetterla, sottrarsi del tutto. Le guerre commerciali sono manifestazioni di lotta di classe sotto altra forma. Questa è una manifestazione di lotta di classe. Luciano Gallino diceva che negli ultimi decenni del secolo si è rovesciato il conflitto di classe: sono i ricchi contro i poveri.

 

Qui nel mondo della Lega Calcio i poveri non ci sono, però.

No certo, ma ci sono i super ricchi contro i ricchi. Il rovescimento del conflitto di classe può invadere il campo degli interessi costituiti perché una parte di questo, quello più ricco, pensa di poter fare da sé. Di poter cioè stabilire un rapporto diretto tra sé e il mercato che costruisce, da non aver più bisogno di intermediari, né pubblici né privati.

 

L’egemonia sul mercato.

No: perché chi vuole l’egemonia vuole conquistare il consenso. Qui loro se ne vanno. Dicono: fate quel che volete, tanto noi siamo più forti di voi. È l’assolutizzazione di un conflitto. C’è un conflitto interno, che viene risolto sul terreno come diceva lei dell’egemonia. Anche perché noi siamo in grado di farlo, il mercato. Noi, insieme agli altri siamo nel mercato. Noi da soli possiamo farlo, il mercato.

 

Non vogliamo il potere di far riuscire le feste, ma quello di farle fallire, si fa dire a Jep Gambardella ne “La Grande Bellezza”…

Esattamente. Ed è questo il codice della guerra. Naturalmente questa operazione è molto esposta a rischi. Non va de plano, stimola reazioni. Perché gli interessi lesi non sono innocenti. Sono capaci anche di relazioni con quelle che i super ricchi chiamano gli utenti, ma che altri possono chiamare popolo.

 

L’eliminazione dei corpi intermedi riguarda anche la politica.

E si inscrive nella crisi della democrazia, nel deficit di correlazione tra rappresentanti e rappresentati. Ognuno pensa di poter fare senza l’altro. E saltano i parametri e le regole dello Stato democratico: oggi il diritto commerciale è diventato diritto tout-court. Loro secondo me pensano di fare una cosa analoga: di fatto, con il forcipe, costruiscono il campo delle regole nuove. Le loro.

 

E gli altri?

Come l’intendenza, seguiranno.

 

L’equivalente nel mondo del business sono le Big tech? Sono loro a costruirsi regole nuove in un mondo globalizzato. Si spostano secondo convenienza nei paradisi fiscali giusti.

Sì, penso anche io al Gafa, Google, Amazon, Facebook, Apple. Sono gli unici che possono e vogliono fare a meno della mediazione con lo Stato, perché le grandi imprese, l’industria manufatturiera etc hanno ancora bisogno dello Stato. Loro no. E i Gafa individuano gli Stati come loro avversari. Si vede già una tensione tra governi e high-tech. Basta guardare a Biden che propone una tassazione minima mondiale. Perché se qualcuno tra i super ricchi del mondo può fare questa operazione, questi sono loro.

 

Come si resiste a questa tendenza?

Bisognerebbe riformare l’esistente. Loro sono forti perché i loro avversari sono deboli. E sono deboli perché nel calcio lo sport è stato divorato da un processo di mercificazione e industrializzazione, come ci hanno spiegato da Oliviero Beha a Gianni Mura. Alla stessa stregua degli Stati, che hanno logorato crescentemente il grado di consenso del loro popolo, e quindi i potenti hanno quest’arma che è la debolezza degli altri.

 

E torniamo così alla crisi della politica e della democrazia.

Appunto. È la crisi delle essenze: cosa fa il calcio? Lo sport. E l’idea dello sport è stata logorata. Cosa fa lo Stato? Esercita la democrazia. Che però ha logorato. Ed ecco che si fa breccia la carica dei super ricchi, che si propongono la demolizione delle istituzioni esistenti.

 

È l’iper liberismo all’ultimo stadio.

Esattamente. Tutti i lacci che imprigionavano il mercato e il capitale vengono divelti fino all’ultimo stadio, fino allo stadio così compromesso che è lo Stato.

 

La dicotomia tra potere, consenso e calcio riletta a una luce nuova.

Sì, perché ai super ricchi il consenso popolare non interessa più. Ai super ricchi interessa il flusso. Ne parlava Aldo Bonomi, lo scontro tra i flussi e i territori. La nazionale è un territorio, i super club sono delle multinazionali; portano delle maglie che si annegano nella competizione globale. Loro hanno anche il problema di riscoprire nuove bandiere, ma adesso inseguono i flussi, il rapporto tra la competizione da loro costruita e una opinione indifferenziata, che accede allo spettacolo attraverso i nuovi strumenti tecnologici. Il passaggio dallo Stadio alla televisione diventa totalizzante.

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