di Maristella Pitzalis.

L'Umbria: una regione di dimensioni limitate, il cui ambiente, decantato come intatto e incontaminato, soffre degli stessi mali di tutti; viviamo in un piccolo pianeta in cui la materia circola e, anche se non tutti contribuiscono all'inquinamento in uguale misura, il degrado ambientale ci riguarda a scala locale e planetaria.

Oggi che veniamo invitati gioiosamente alla ripresa di un modo di vita che ci ha mostrato i suoi limiti mi sembra doveroso valutare attentamente le conseguenze delle iniziative che si intraprendono, e non riporre speranze in salvifiche soluzioni tecnologiche, non a caso caldeggiate da quegli stessi che la rapina l'hanno attuata sia verso il mondo fisico sia verso il mondo del lavoro.

Non può la tecnologia risolvere il problema usata dagli stessi che rifiutano le trasformazioni sociali.

Dare valore alla natura, ai suoi processi, agli ecosistemi, aveva l'obiettivo di rendere manifesta la necessità di proteggerli, non certo di dargli un prezzo e quindi renderli beni commerciabili, addirittura quotabili in borsa, portando ad una finanziarizzazione dei beni ecosistemici e ad una accelerazione del degrado ambientale.

Basta osservare quello che sta succedendo con il mercato mondiale della compensazione del Carbonio, che non riduce le immissioni di CO2 ma le rende commerciabili, quindi non dà nessun contributo al contenimento dell'effetto serra e del cambiamento climatico.

Gli accordi internazionali raggiunti faticosamente, senza discussione pubblica, e con tempi inadeguati alla rapidità dei mutamenti, impegnano i governi a emanare direttive, ma se le grandi corporation saranno proprietarie dei beni e dei processi naturali non possiamo certo attenderci che abbiano come obiettivo la ridistribuzione dei profitti, e che l'appropriazione dei beni comuni porti vantaggi per le popolazioni.

Pensiamo al clima, all'appropriazione della terra, al crescente fenomeno di land grabbing,

pensiamo che se la Bayer - industria chimica -ingloba la Monsanto - industria sementiera - i semi saranno al servizio di un uso sempre crescente di fertilizzanti e pesticidi e non del benessere dei consumatori e degli agricoltori. L'agricoltura, a qualsiasi scala la consideriamo, è esemplare: prende e non restituisce, partecipa a pieno titolo alla rapina della natura.

Peraltro l'aumento di produzioni unitarie delle colture principali in questo ultimo secolo non ha certo ridotto lo squilibrio nella disponibilità di cibo.

Le grandi trasformazioni agricole del secolo scorso, che hanno investito l'Umbria come tutta l'agricoltura italiana, non sono ancora finite e, mentre si parla in continuazione di pratiche green, l'estendersi di monocolture come il Nocciolo nel sudovest della regione si aggiunge alla tabacchicoltura nell'alta valle del Tevere, strenuamente difesa. Colture certamente non destinate al consumo locale che impoveriscono i terreni e perpetuano una agricoltura di rapina.

Per quanto i i limiti fisici della Terra -pianeta- siano insuperabili le risorse se ben utilizzate potrebbero essere più che sufficienti per mantenere la popolazione mondiale. .

Ma se alla salvaguardia ambientale dobbiamo puntare non basta limitare lo sfruttamento e i danni all'ambiente fisico, è necessario modificare i rapporti nella riproduzione sociale, mettere fine all'espropriazione dei corpi umani - dalla schiavitù di fatto al supersfruttamento delle persone, non solo nelle aree del Sud del mondo ma qui e subito, e all'oppressione delle donne

Abbiamo quotidianamente sotto gli occhi esempi di neocolonialismo e di razzializzazione, è l'ora di accorgersene, e di attivarsi.

Concludo osservando che la minaccia continua dell'esaurimento delle risorse ricorda il millenarismo e agitare lo spauracchio del cambiamento non deve farci temere la fine del mondo, piuttosto dello stile di vita, di una parte della popolazione tutto considerato minima.

Non sarà la fine del mondo ma di questo mondo, e vogliamo lavorare per un mondo migliore che abbia rispetto per TUTTI i suoi abitanti.

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