É morto l’arcivescovo Giuseppe Chiaretti nipote e cugino di martiri partigiani
di Elio Clero Bertoldi
PERUGIA - Si é spento l'arcivescovo emerito di Perugia monsignor Giuseppe Chiaretti, 88 anni, tornato appena da poche settimane dall’ospedale dove era stato ricoverato per COVID. Nato a Leonessa e già parroco di Vallo di Nera, nella Valnerina Umbra, era stato vescovo a San Benedetto del Tronto ed arcivescovo nel capoluogo umbro. Rifulgeva per conoscenza religiosa ed intellettuale.
Settantuno anni fa, quando aveva 11 anni e svolgeva le mansioni di chierichetto, fu testimone della cattura e della tragica morte di un suo cugino, sacerdote di 16 anni più grande di lui, fucilato a Leonessa, nel reatino, dai nazifascisti. Tredici giorni prima aveva perso un altro congiunto, saltato in aria nell’attentato di via Rasella a Roma.
L’arcivescovo emerito di Perugia, monsignor Giuseppe Chiaretti, ha scritto, qualche anno fa, un articolo su questi dolorosi eventi della storia d’Italia e della sua famiglia di cui fu testimone diretto, pubblicato dal giornale cattolico “Avvenire”. Antonio Chiaretti, suo cugino, era un operaio della Teti, azienda dei telefoni. E, comunista della minoranza di Amedeo Bordiga, militava a Roma nel gruppo della resistenza “Bandiera Rossa". Questa formazione prediligeva i sabotaggi agli attentati (strategia portata avanti, al contrario, dai GAP).
Perché il giorno (23 marzo 1944) dell’attentato al battaglione tedesco "Bozen", Antonio si trovasse in via Rasella, non é chiaro. Di certo il giovane partigiano fu investito dell’esplosione del carretto con la potente bomba artigianale, spinto da "Paolo", nome di battaglia di uno studente patriota. Alcune fonti sostengono che l’operaio avesse tentato di salvare un bambino, di 13 anni, Pietro Zuccheretti, morto anche lui nell'attentato dinamitardo (furono lanciate anche quattro bombe a mano nell’azione nella quale morirono 33 soldati altoatesini e i due civili). La ritorsione dei tedeschi di Klapper e dei fascisti coinvolse anche il gruppo di Bandiera rossa: tra le 335 vittime delle Fosse Ardeatine si contarono ben 68 appartenenti a questa formazione. Praticamente il gruppo venne sterminato. La bandiera rossa, vessillo ed emblema della banda partigiana, venne trovata proprio nella casa dell’operaio a Leonessa.
Il cugino prete dell'arcivescovo, di nome Concezio, entrò, invece, nel novero dei martiri della libertà, massacrati nella strage del venerdì santo, il 7 aprile 1944. A Leonessa le formazioni partigiane erano molto attive e venivano sostenute e aiutate dalla stragrande maggioranza della popolazione. Don Concezio Chiaretti, 27enne, quel giorno stava celebrando un rito in onore dell’Addolorata. Sua madre si fiondò in chiesa e ansante gridò, in dialetto, al figlio: "Fiju, scappa: te vau cerchénno li tedeschi..."
Per qualche istante il sacerdote rimase in silenzio, poi proseguì la preghiera. Lo bloccarono praticamente sul sagrato. Dopo gli studi in seminario (svolti anche ad Assisi) e l'ordinazione a sacerdote, don Concezio aveva ottenuto pure la nomina a cappellano degli alpini della Julia. Di idee libertarie faceva parte anche di un gruppo partigiano. Neanche un mese prima dei sanguinosi fatti di Leonessa, il giovane sacerdote aveva salvato la vita a tre militari fascisti della Guardia Nazionale Repubblicana, catturati, spogliati e già pronti per essere fucilati. Ma le sue buone azioni spese non lo salvarono dalla furia nazifascista. Con altri 22 sfortunati venne trascinato in una località chiamata Calvario (pensate un po’) e fucilato.
Prima di morire il giovane prete assolse e benedisse i suoi compagni di sventura e, addirittura, pronunciò parole di perdono per i suoi stessi carnefici. Un vero martire. A terra venne rinvenuto il suo breviario, sporco di terra, tenuto in mano fino all'ultimo respiro.
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