di Francesco Piccioni

Franco Russo, un vita in politica dal '68 ad oggi, ex parlamentare con Rifondazione, membro del Forum diritti lavoro, è tra i promotori dell manifestazione nazionale di sabato 27, piena di «no» e di «sì».

 

«No» alle politiche della troika?
Il punto centrale della manifestazione è già nello slogan: No Monti Day. Nel nostro paese nessuna forza politica importante dice «no» alle politiche di questo governo. Che del resto è sostenuto dalla stragrande maggioranza del parlamento italiano. Cisl e Uil sono stesi a tappetino, e la Cgil - per non mettere in difficoltà Bersani - non indice scioperi generali. Ci sono critiche alle politiche di Monti, ma nessuna forza dello scacchiere parlamentare dice «no» al Fiscal compact, alle procedure del semestre europeo o all'Europlus Pact.

 

Come funziona questo «semestre»?
È una decisione Ecofin del 2010. A gennaio di ogni anno la Commissione emana un'indagine (survey) sulla situazione economica dei 27 paesi. Su indicazioni europee, i governi nazionali redigono i piani di «riforme» e di «stabilità» nazionali. A giugno la Commissione valuta i progetti di bilancio; a luglio l'Ecofin emana delle «raccomandazioni». Che orientano le leggi di bilancio nazionali, in Italia «legge di stabilità» attualmente in discussione. Sono procedure che vedono come protagonisti attivi la Commissione e l'Ecofin, supportati dalla Bce. I bilanci non vengono più decisi dai parlamenti nazionali, ma dalla tecnocrazia di Bruxelles.

 

E il Fiscal compact?
Il Trattato di Maastricht non prevedeva strumenti per «incidere» sugli stati nazionali. Per questo c'è stato prima il patto Europlus, nel marzo 2011, e poi il Fiscal compact. Che indica le misure sanzionatorie nel caso che gli stati non obbediscano alle «raccomandazioni». Pone due vincoli. Il pareggio di bilancio in Costituzione, e l'hanno già fatto; e far rientrare in 20 anni il debito sotto il 60% del Pil. Per l'Italia di tratta di fare 20 finanziarie nell'ordine dei 40-45 miliardi l'una. Al di sopra, oggi, c'è anche il «patto di stabilità europeo», d'intesa con la Bce. Un cappa di ferro sulle politiche di bilancio che espropria i parlamenti nazionali, nati proprio per gestire il potere fiscale, entrate e spese, al posto della monarchia.

 

C'è un problema di democrazia?
Diciamo che c'è una fuga dalla democrazia, verso un'oligarchia obbediente solo agli input dei mercati finanziari e delle banche. Che domina nella Ue e sugli stati nazionali.

 

È un problema non solo italiano...
Mettiamo al centro della manifestazione la dimensione europea. Perché è vero che l'Italia ha un gap da recuperare in termini di lotte contro Monti, ma ormai c'è bisogno di coordinare le lotte a livello continentale.

 

Non c'è già Il 14 novembre?
Inviterei i lettori de il manifesto a leggere l'appello con cui la Ces ha chiamato alla mobilitazione. Non c'è una parola contro i trattati europei. È una convocazione generica «contro le politiche di austerità». Che però hanno un nome e un cognome; strutture e strumenti corcitivi. Dobbiamo costruire un'opposizione che chieda ai governi e alla Ue che non siano loro a decidere quali trattati vanno messi in atto, ma che le popolazioni europee possano decidere con un referendum. Per esempio sul Fiscal compact, per dirne uno. Se oggi non c'è un coordinamento europeo contro l'Unione europea - contro le strutture decisionali, non solo le politiche - non si riuscirà mai a livello nazionale a invertire la tendenza.

 

Che aria tira per il 27?
Non per far retorica, ma la spinta va crescendo. Nel vuoto politico assoluto, è la prima manifestazione contro il governo Monti. Averla convocata rappresenta un punto di riferimento per le lotte di tutti. Per i lavoratori di ogni categoria, il Sulcis, gli insegnanti, i no tav, le donne, gli studenti, gli esodati, i pensionati, ecc. Per la prima volta dopo anni tutto il sindacalismo di base si ritrova di nuovo unito in una mobilitazione. È una giornata politica, non di rivendicazioni particolari, Si dice Monti deve andarsene e le sue politiche vanno radicalmente capovolte. Servono politiche di rilancio, come anche molte altre forze - dalla Fiom a Sbilanciamoci - dicono. Non c'è solo la Fornero o qualche ministro, a non andare. È il governo Monti tutto insieme a dover esser mandato via. Insieme alla sua «maggioranza di responsabilità nazionale», per esser chiari.

 

Fonte: il manifesto

Condividi