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di Fabio Amato Un tema ineludibile, all’indomani dei congressi che hanno coinvolto nell’estate appena trascorsa le formazioni della sinistra reduci dalla debacle dell’arcobaleno, credo sia quello della ricostruzione della presenza sociale di queste forze. In un saggio di 10 anni fa,intitolato appunto sinistra senza classi, Adalberto Minucci già individuava in questa contraddizione la maggiore sfida della sinistra di fronte alla globalizzazione e alle modificazioni intervenute nella composizione sociale delle società a capitalismo avanzato. Oggi, il tracollo elettorale, dimostra nel modo più spietato quanto distante sia la sinistra dal rappresentare coloro i quali vorrebbe. Il voto operaio alla Lega Nord è l’emblema di questa distanza. Si tratta quindi di un problema di fondo, difficilmente risolvibile attraverso operazioni di assemblamento di ciò che c’è, o il superamento delle organizzazioni esistenti verso di nuove. Questa frattura fra sinistra politica e settori sociali un tempo di riferimento, ha segnato tutta la fase della seconda repubblica, ma ha assunto dimensioni senza precedenti nell’ultima tornata elettorale, consegnando alle destre una forza politica, elettorale e sociale schiacciante. Dopo venti anni, e forse più, di dominio del capitale sul lavoro, la frammentazione e disgregazione operata dal neoliberismo e dalle riforme del mercato e dell’organizzazione del lavoro, ci consegnano una condizione in cui tutto è da ricostruire. Abbiamo tutti, in questi anni, beneficiato della forza del movimento operaio che fu, dell’insediamento storico del Partito Comunista, ereditandone anche una rendita elettorale, alla quale però, non è corrisposta una capacità di dare nuova linfa e il necessario radicamento sociale. Sul piano culturale e delle idee, il berlusconismo ci ha travolto, aiutato indubbiamente dall’approdo oramai definitivamente interclassista e post socialdemocratico degli ex ds e dalla nascita del PD. Aiutato dal fallimento delle due occasioni in cui il centro sinistra ha governato, in cui non solo non ha messo in atto nessuna politica di redistribuzione della ricchezza, ma è stato incapace anche di mettere mano al conflitto di interessi e di ridimensionare lo strapotere mediatico del Cavaliere. L’Italia è inoltre il paese in Europa in cui più velocemente si è proceduti nella svendita del patrimonio pubblico, nelle privatizzazioni, e nel quale sono cresciuti meno i salari e di più le disuguaglianze, insieme al dilagare della precarietà. Questo processo è iniziato dal 92 in poi. Insieme a questa rincorsa al progressivo smantellamento dello stato sociale, si è allo stesso tempo prodotta una accelerazione nella costruzione di un sistema politico maggioritario, ispirato al modello anglosassone, passando per il bipolarismo prima, e con l’attuale ricerca di stabilizzare un sistema sostanzialmente bipartitista, o quasi. Processi nei quali un ruolo protagonista, vale la pena ricordarlo, lo ha svolto la leadership del Pds, Ds, prima, e quella attuale del PD ora. Ricostruire una presenza nel paese, nel suo tessuto sociale, è condizione minima per recuperare un ruolo politico alla sinistra di classe. Non si ferma infatti l’ondata xenofoba, reazionaria, che la destra ha animato nel paese, solamente con i buoni propositi e i richiami ai buoni sentimenti. O si è capaci di ribaltarla riportando la questione sociale al centro del dibattito politico, o ne verremo tutti travolti. Non è nostro compito quindi, per quanto necessario in modo assoluto nel breve termine, solamente quello di recuperare una parte di voto utile andata nelle scorse elezioni al PD, quanto recuperare voto popolare, disperso fra astensione e consenso attivo alla destra. Facendo tutto il possibile per riportare al centro del dibattito politico dell’Italia la questione sociale, del conflitto di classe. Una questione sempre più grande, ma che viene esorcizzata attraverso la guerra fra poveri e il nemico esterno, con l’emergenzialismo e la paranoia securitaria. Su questa sfida si può riaprire il doveroso ragionamento sull’unità della sinistra. Su questo terreno misurare la capacità di avanzare una proposta politica alternativa a quella del partito democratico. Su questo terreno, sociale e allo stesso tempo politico, svoltare a sinistra. Non una svolta minoritaria, o identitaria, ma politica e sociale. Politica poiché l’esperienza in Italia ed in Europa di questi ultimi quindici anni ci dice che in tentativi di partecipazione al governo della sinistra di trasformazione sono ovunque falliti. Il risultato di queste esperienze è stato il tracollo elettorale e lo spostamento a destra in modo radicale del quadro politico. Si pensi al fatto che in Francia, dopo l’esperienza di Jospin, arrivarono al ballottaggio Chirac e Le Pen. Dove invece la sinistra di classe e alternativa ha mantenuto un’autonomia politica dalle forze socialdemocratiche e dai governi, essa non solo non è a rischio scomparsa, ma registra una crescita in termini di consensi anche straordinaria, come nel caso di due paesi come la Germania e l’Olanda, tali da rimettere in discussione i rapporti di forza fra sinistra alternativa e moderata. Per non dimenticare Portogallo, Grecia, Danimarca. Cito questi esempi perché penso sbagliata l’idea per la quale la sinistra sarebbe in uno stato simile a quello italiano in tutta Europa. Di fatto è scomparsa totalmente dal Parlamento, al momento, solo in Italia. La ragione della sconfitta, se pur va inquadrata in una fase storica di arretramento, è quindi frutto della debolezza sociale ma è soprattutto politica. Poiché politicamente sbagliata è stata l’idea di poter condizionare il centro sinistra. Un centro sinistra totalmente interno alle logiche neoliberiste imperanti nell’Unione Europea da Maastricht in poi, passando per quell’ulteriore barriera a politiche redistributive rappresentata dal Patto di Stabilità e dal fondamentalismo monetarista della BCE. Costruire un’opposizione sociale e politica al governo Berlusconi, deve avere quindi questa ambizione, ovvero un lavoro che è insieme sociale, politico, organizzativo. Deve sostanziare l’opposizione alle destre attraverso una punto di vista di classe, e non semplicemente nella demonizzazione del pur imbarazzante profilo, democratico e morale, del Cavaliere. La difesa del contratto nazionale di lavoro, quella del potere d’acquisto dei salari e contro il caro vita, per il diritto alla casa e contro la precarietà, devono essere, insieme alla battaglia per la difesa della costituzione, dei beni comuni, della scuola pubblica e dell’ambiente, per i diritti civili e la pace, la base programmatica su cui aggregare un possibile movimento di opposizione, su cui ridefinire un’identità e utilità sociale alla sinistra. Sarà sulla costruzione della mobilitazione e sulla capacità di rimettere in moto e in connessione i vari movimenti e vertenze, che si potranno costruire le basi per l’unità delle forze politiche e sociali della sinistra. Non partendo quindi dalle formule, ma dal basso e da sinistra. Non si costruisce una sinistra grande e forte, solo perché questa sarebbe necessaria o nei nostri desideri. Non la si costruisce attraverso accelerazioni che con furia iconoclasta degna di altre cause vorrebbe cancellarne storie e identità. La si costruisce a partire dalla sua capacità di essere nella società, di costruire lotta e partecipazione civile e sociale, nuove forme di mutualismo. Io credo che sia utile a questo fine, e vista la condizione di extraparlamentarismo, pensare anche ad un stagione referendaria sui temi proposti. Penso per esempio ad un Referendum per l’abolizione della legge 30. Credo sia un tema da discutere e approfondire, ma non da scartare solo perché l’impresa ci sembra ardua. Nonostante un quadro difficile, complesso e che rende il nostro compito arduo, io credo che sia possibile farcela. La sinistra comunista, socialista di sinistra, ecologista, che ha un’idea alternativa di società, che pensa che il capitalismo non è l’unico dei mondi possibili, ma che anzi, prospetti un modello insostenibile, socialmente e ambientalmente per il futuro del pianeta, ha oggi ancora più ragioni di prima di esistere. La crisi della globalizzazione capitalista e delle sue promesse è evidente. Ad essa la destra risponde con la paura. La sinistra moderata e interclassista con il paradosso di trasformarsi essa in custode dell’ortodossia liberista di fronte alle tentazioni protezionistiche e interventiste dei governi. E’ nelle nostre mani la possibilità, di dare una risposta di sinistra a questa crisi. Di far rinascere una speranza, quella che cambiare è possibile. E’ questa sfida, quella su cui deve impegnarsi, insieme a tutta la sinistra , Rifondazione Comunista. Condividi