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Cinquecento milioni di euro di rosso e 7700 posti di lavoro a rischio nelle due province di Perugia e Ancona. Tanti sono secondo Gianmaria Pica, che sull'edizione di oggi de Il Riformista fa un'analisi dettagliata della situazione dell'Antonio Merloni. Domani, quando a Fabriano si terrà il cda, ne sapremo di più sul futuro dell'azienda. Due le ipotesi che riguardano il piano industriale: la prima è quella che i consiglieri stessi della Merloni definiscono come restrittiva. Questa ipotesi prevede, in soldoni, il salvataggio solo dei siti produttivi esteri. L'altra ipotesi, sostenuta dalle parti sociali, si pone come obiettivo quello di mantenere in vita le aziende del territorio italiano. E ancora, il cda dovrà decidere sulle procedure concorsuali. Anche qui due ipotesi: il concordato preventivo o l'amministrazione straordinaria (ossia la legge Marzano). Il comparto della produzione di elettrodomestici, ricorda Pica nel suo articolo, è la seconda realtà industriale italiana dopo quella automobilistica con 150mila lavoratori occupati e un saldo commerciale di quasi sei miliardi di euro. E allora come mai, si chiede Pica, ma se lo chiedono in realtà un po' tutti, la Antonio Merloni è ora sull'orlo del fallimento? I fattori sono molti. I maggiori incassi della Merloni provengono, fino ai primi anni del duemila, dai lavori affidati dai grandi gruppi internazionali. Questo almeno fino a quando l'Italia poteva permettersi un basso costo del lavoro. Fino a quando, cioè, non è iniziata la grande migrazione delle nostre aziende verso l'estero. Delocalizzazione e basso costo del lavoro le parole d'ordine per sopravvivere in mercati sempre più competitivi. Nel 2007, spiega Pica, arriva la svolta. La Merloni inaugura una nuova fabbrica in Ucraina con l'obiettivo di produrre 500mila macchine all'anno sotto i marchi Ardo e Asko. Troppo tardi: un'azienda strutturata per lavorare in conto terzi e con una rete commerciale inadeguata per sostenere le vendite dei suoi prodotti, non riesce a cambiare pelle. Questi, in sintesi, sono alcuni dei fattori che hanno portato alla drammatica crisi di oggi. Umbrialeft ha parlato di tutto questo e delle prospettive dell'azienda con Manlio Mariotti, segretario regionale della Cgil Umbria. Segretario partiamo dai numeri: gli esuberi prospettati dal Riformista sono una cifra realistica? E se la risposta è sì, chi rischia nell'indotto qui in Umbria? “Diciamo che quello prospettato dal Riformista è lo scenario più pessimistico. Noi abbiamo sempre parlato di 5500 posti a rischio. Di questi, 3500 sono quelli interessati direttamente dagli stabilimenti Merloni in giro per l'Italia. Per quanto riguarda l'indotto, questa problematica in Umbria desta meno preoccupazioni rispetto alle Marche. Certo, da noi andranno in sofferenza tutte quelle realtà che sono connesse alla realizzazione delle cappe e dei componenti per frigoriferi e lavatrici ad esempio. Però mentre nelle Marche il rapporto è di uno a uno, nel senso che per ogni lavoratore della Merloni a rischio, nelle stesse condizioni si trova un altro dell'indotto, da noi il rapporto è più basso. I rischi insomma, si concentrano maggiormente nel fabrianese”. Mariotti domani ci sarà lo showdown all'interno del cda della Merloni, sarà il giorno della verità insomma. Per la sua esperienza verso che soluzione ci si sta incamminando? “Adesso come adesso è un po' come andare a naso, cercare di fare l'aruspice. Diciamo innanzitutto che il tempo è un elemento fondamentale visto l'aggravarsi della situazione finanziaria del gruppo. Parole come fallimento o bancarotta non sono certo un tabù. Ora l'importante è prendere il toro per le corna: tutti sono costretti a prendere una decisione. Noi crediamo che lo strumento migliore per il risanamento e la salvaguardia produttiva sia quello del commissariamento, il ricorso alla legge Marzano insomma. Salvare la Merloni significa anche riorganizzarne la produzione. Quella a cui ci troviamo di fronte è una crisi di mercato, di produttività e ovviamente finanziaria, di liquidità: non ci sono più i soldi per acquistare le materie prime. Ora io spero che venga immessa liquidità fresca, ma questa da sola non basta. E' necessaria una riorganizzazione produttiva per ridare efficienza e competitività alla Merloni”. Segretario ieri un senatore del Pdl ha criticato quella che secondo lui è il comportamento arrogante dei governatori di Marche, Umbria e Emilia Romagna. La loro colpa sarebbe quella di pressare il ministro Scajola per ottenere al più presto un intervento del governo. Scajola però dice che senza un “invito” della Merloni lui non può fare nulla. Come se ne esce? “Per quello che ne so io ci sono stati incontri per costruire questo percorso che porta al commissariamento e all'indicazione di un commissario gradito alle parti, che abbia le caratteristiche giuste. La legge Marzano infatti lascia ampio potere ai commissari: avere un commissario che privilegia il rilancio della produzione o uno invece che vorrà privilegiare i creditori sono due cose radicalmente diverse. Per come la vedo io ora istituzioni, forze politiche e sociali devono costruire un consenso di massima sul percorso. Lo stesso Scajola deve essere orientato verso una scelta coerente a quelli che sono gli interessi di Umbria e Marche. Le voci che poi mi arrivano mi confermano che si sta lavorando verso questa direzione. Siamo a buon punto insomma. Se l'azienda deciderà per il commissariamento il lavoro a monte è stato fatto e qualche speranza di affrontare la situazione nel modo giusto c'è. Una situazione che rimane comunque grave; per affrontare la quale però ci saranno gli strumenti giusti”. Condividi