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di Daniele Bovi A Perugia questo pomeriggio per l'assemblea della Confindustria regionale arriva il presidente Emma Marcegaglia, un'occasione buona per tirare le fila e fare qualche ragionamento sulla situazione pesantissima che si prospetta per il mondo del lavoro. Ragionamento che riguarda principalmente i numeri: quelli dei tagli di posto di lavoro. Lasciando da parte la crisi dei sub-prime che sembra dispiegare ora i suoi effetti anche nel vecchio continente, come ha dimostrato la giornata da incubo di ieri sui mercati di tutta Europa, proviamo a fare quattro conti sui comparti italiani interessati da tagli. Il settore bancario è uno di quelli caratterizzati da piani industriali lacrime e sangue: i quattro big del settore hanno cominciato a tagliare, e dovranno continuare a farlo, 17650 posti di lavoro. Le telecomunicazioni non se la passano meglio: mentre Telecom ha in progetto una sforbiciata da 5000 posti, qualche giorno fa l'ad di 3 Italia, Vincenzo Novari, ha annunciato che la compagnia di proprietà del magnate cinese Li Ka Shing reciderà il rapporto professionale con 450 persone. Su Alitalia si sono versati fiumi di inchiosto in queste settimane: alla fine il piano Cai prefigura 3250 esuberi. Il Gruppo Natuzzi poi, leader nella produzione di divani e quotata a Wall Street, è ricorsa a 2400 cassintegrazioni e 1200 esuberi. Della Antonio Merloni di Fabriano Umbrialeft ha parlato e continuerà ad occuparsi: sul baratro ci sono 3200 lavoratori italiani (5500 quelli all'estero). Rumors sempre più consistenti poi interessano la prima azienda manifatturiera del paese, la Fiat: a rischio 6700 posti di lavoro. Cinquemila nello stabilimento di Pomigliano d'Arco, 1700 in quello di Termini Imerese. Totale 35mila esuberi. Roba da far tremare i polsi. A questi numeri però ne vanno aggiunti degli altri che ora come ora è difficile quantificare. Visto che quelle citate sono aziende di primaria grandezza e di primaria importanza per il paese, ai 35mila tagli ne vanno messi in conto degli altri, ovvero quelli che riguardano l'indotto. Tutte quelle piccole e medie realtà, spina dorsale del paese, legate a filo doppio alle commesse che i grandi gruppi fanno loro. Un quadro che fa emergere sempre più forte l'odore di una recessione lunga e non cenrtamente indolore. Condividi