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PERUGIA – Con un loro volantino largamente diffusi, i Cobas della scuola di Perugia hanno scoperto le carte e lanciato l’allarme rendendo noto uno studio della Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI), ovvero la banca di tutte le banche, quindi gli stessi "padroni", secondo il quale, se nel 1983 loro intascavano il 23,12% del Prodotto interno lordo (Pil) nazionale e ai lavoratori toccava di conseguenza il 76,88%, nel 2005 il rapporto si era così modificato: il 31,34% ai padroni ed appena il 68,66% di dipendenti. Un impoverimento secco per il lavoratori pari all’8.22%, in 22 anni e di questo impoverimento generale lor signori hanno prontamente trovato i responsabili: i cinesi e gli extracomunitari. Ma i Cobas della scuola hanno fatto anche due conti al riguardo che chiariscono le ragioni di questa colossale truffa facendo giustizia di ogni strampalata tesi di comodo. Innanzitutto, osservano che l’8,22% del Pil nazionale corrisponde più o meno a 120 miliardi di euro, il che vuol dire che se dividiamo questa colossale somma per i circa 17 milioni di lavoratori del nostro Paese, abbiamo che ad ognuno di essi è stato sottratto qualcosa come 7.000 mila euro all’anno, ovvero all’incirca 600 euro ogni mese, quindi 100 euro più rispetto ai 500 euro mensili di aumento che gli stessi Cobas rivendicavano guadagnandosi l’appellativo di “matti”. Altra osservazione assai pertinente: in questi 22 anni, quando cioè veniva messa in atto questa colossale rapina, tutti i partiti “responsabili” e tutti i sindacati “maggiormente rappresentativi” hanno concertato con i padroni e le tappe fondamentali di questa concertazione sono state. - l’estate del 1992, quando questa trattativa padroni-governo-sindacati portò alla cancellazione della scala mobile, un meccanismo che compensava in qualche misura la perdita di valore delle retribuzioni e delle pensioni causata dall’aumento del costo della vita. (Ndr: in verità va detto che in quella circostanza la Cgil e il Pci di Berlinguer cercarono di opporsi a tanto scempio, ma furono sconfitti con un referendum); - il 23 luglio del 1993, quando, questa volta tutti e tre i sindacati confederali concordi, decisero che si poteva mettere un tetto ai salari, per cui da allora in poi gli aumenti in busta paga sarebbero stati legati all’inflazione “programmata” e concessi con i rinnovi contrattuali che vengono siglati, quando va bene (cosa estremamente rara al momento, ndr) ogni tre anni; - infine il colpo di grazia con l’introduzione dell’euro, allorché, “stranamente” in questo caso - osservano i Cobas - “padroni, governo e sindacati non riuscirono a concertare uno straccio di difesa dei salari ed ancor meno a mettere un tetto ai profitti”. “Naturalmente – si afferma sempre nel volantino -, i telegiornali, i giornali e tutte le ‘Porta a Porta’ di questo Paese non parlano di queste cose perché sono infinitamente più importanti i fatti di cronaca, i successi sportivi, le tendenze della moda, le previsioni del tempo, le ‘angosce dei Vip’”. Vorrà dire che, prossimamente, metteremo in tavola gli omicidi, la vittoria ai mondiali di calcio, i pantaloni a vita bassa, la nebbia in entrambe le direzioni e la repressione dell’attore famoso di turno”. “Naturalmente, protestare contro questa rapina ventennale e quotidiana non si può fare, perché è ‘cosa vecchia, sbagliata e maleducata”; inoltre non si deve disturbare il conducente (padroni, governo e sindacati), che ci sta portando verso il nuovo e luminoso traguardo: il 50% delle ricchezze nazionali ai padroni ed il 50% ai lavoratori: rapinati e contenti”. A conclusione i Cobas perugini della scuola ironizzano sul fatto che lor signori preferiscono essere chiamati imprenditori, o addirittura datori di lavoro, in quanto possono permettersi di fare violenza perfino al vocabolario, “visto che chi dà il proprio lavoro e, spesso, pure la propria vita sono i lavoratori”. “Sappiamo che loro detestano la parola padroni, perché ha il ‘difetto’ di dire le cose come stanno. E’ per questo che noi la usiamo. Certo, è una magra soddisfazione, ma questo è quello che passa il convento, cioè l’epoca in cui viviamo”. Condividi