rifo-12.jpg
di Marco Sferini Ho riservato una particolare attenzione all'intervista che Fabio Mussi ha rilasciato a "Liberazione" il 24 Settembre scorso e l'ho accolta come un elemento finalmente chiarificatore di un percorso di mesi e mesi vissuti di mezze parole, di frasi interrotte sul più bello, di ammiccamenti e cenni ma mai e poi mai fatti di espressioni definite, di proposte nette e non ambigue. Per la prima volta dalla nascita di Sinistra democratica, Fabio Mussi dice, anzi si appella, a Rifondazione Comunista domandando che si apra la strada ad un nuovo partito della sinistra che, pertanto, superi quelli esistenti e abbia, sempre secondo l'ex ministro dell'università, il coraggio di assegnare alle ideologie un angolo di elucubrazione solitaria, lasciando come terreno di conquista del nuovo partito un pragmatismo quasi asettico, privo di emozioni, ma schizofrenicamente imbevuto di passione per una sinistra moderna, fatta di solidarismo, di uguaglianza sociale e civile, di pace, eccetera, eccetera. Ora tutti quelli che, anche in Rifondazione Comunista, sino ad oggi non avevano osato pronunciare ad alta voce la locuzione "altro partito" che Mussi ha proclamato, esaltato e sottolineato abbondantemente, possono farlo: non c'è più mistero - ammesso che vi sia mai stato - che tenga, non c'è più un tabù da infrangere, non c'è timore alcuno di finire sotto gli sguardi incattiviti dei compagni e delle compagne della "base". Ognuno di noi sa benissimo come è schierato, quale posizione ha in merito a questa proposta di scioglimento di Rifondazione Comunista, dei Comunisti Italiani. Chi la persegue fa parte dell'area di Nichi Vendola in Rifondazione e di quella di Katia Bellillo nel PdCI. Tutto viene fatto sotto i riflettori, anzi, ci si sforza di promuovere una sorta di campagna acquisti anche attraverso feste parallele rispetto a quelle ufficiali del PRC e del PdCI. Nel mentre a Roma si svolge la "festa di Liberazione", Vendola e compagni organizzano la loro di festa che si esprime in un amletico punto di domanda: "Sinistra, nome comune di cosa?". Un quesito interessante che va sviluppato. Le ragioni per cui nel 1991 nacque e prese corpo il Movimento per la Rifondazione Comunista sono ancora attuali oppure ha veramente ragione Nichi Vendola, ha ragione Fabio Mussi e ha ragione Katia Bellillo nel dire che la fase di destrutturazione dei valori sociali, di uguaglianza e di libertà è tale da ricercare nuove forme organizzative e nuove critiche nei confronti del capitalismo? Siccome avevo una vaga memoria del documento finale del primo congresso nazionale del PRC, sono andato a cercarlo nel mio archivio e, dopo averlo trovato e letto, ho ripreso a leggerlo ancora per cercare - a parte il contesto strettamente legato alle fasi dei vari governi che si sono succeduti, e quindi alla politica strettamente legata all'italico stivale - quali fossero le possibili distonie, gli anacronismi presenti in una analisi che aveva come sintesi politica e di organizzazione per i comunisti la nascita di un nuovo Partito Comunista, la rifondazione del Comunismo in Italia. Già allora Lucio Libertini faceva notare, in numerosi suoi scritti, che la nascita del PDS era l'approdo della gran parte del PCI ad una svolta moderata, ad una svolta socialista democratica che un comunista non poteva condividere e che era impossibile un tentativo di condizionamento interno al nuovo soggetto politico. Si doveva ricostruire dalle fondamenta, sociali, politiche e anche culturali-ideologiche, un partito che sapesse valorizzare le esperienze dei comunisti italiani in tutto il '900 stimolando la critica, adoperando le pacifiche armi della polemica per separare le distorsioni e gli avvitamenti autoritari subiti dal Comunismo dal lavoro di massa compiuto dal PCI in oltre cinquant'anni di lotte in Italia e anche nel contesto europeo. Diceva Libertini: "E' forse vero che il crollo dei regimi dell'Est significa la fine del socialismo e del comunismo, una definitiva vittoria del capitalismo, la sua identificazione con la democrazia? Oppure nella nostra epoca le contraddizioni di fondo della organizzazione capitalistica del mondo sono nuove e crescenti, e il socialismo e il più lontano orizzonte comunista, liberati finalmente da degenerazioni tiranniche che ne contraddicevano i principi, sono, alla fine la speranza dell'umanità?". In questa bellissima domanda del grande dirigente e fondatore di Rifondazione Comunista c'è l'essenza tuttoggi di una domanda a cui la risposta che viene data risulta confusa, non esaustiva e, soprattutto, di breve termine, senza un ampio respiro, senza guardare ad un orizzonte ma confondendo il riformismo con il pragmatismo e la lotta di classe con i peggiori stereotipi inventati via via dai tanti rinnovatori che sono finiti per precipitare in microformazioni dal vago sapore socialista e dal chiaro intento liberale, da un approccio dell'economia e del valore del lavoro - e del suo conflitto con il capitale - che finisce per dipendere dalle esigenze delle imprese e non da quelle di tutti i lavoratori, operai per primi. I miti di scomparsa proprio degli operai sono, anche questi, stati smentiti proprio dal moderno capitalismo che ricerca un lavoro sempre più preacario, alle soglie dello schiavismo e al quale non si può rispondere con le "compatibilità" del sistema o col "temperamento" del merceologismo dominante attraverso politiche di contenimento degli eccessi liberisti per trovare un compromesso per tutti, una pace sociale che non fa altro che portare nuovi svantaggi proprio ai più deboli e vessati. L'invito di Fabio Mussi a chiudere l'esperienza di Rifondazione Comunista risulta per questo politicamente debole, strategicamente sbagliato e culturalmente inefficace proprio in quella ricerca di egemonia gramsciana che dovremmo invece, come comunisti, mettere al primo posto nella conduzione di qualunque azione quotidiana che portiamo avanti nel nostro limitrofo: nelle lotte di grande, di media e di piccola portata. La neo-socialità del PRC si forma solamente con la lunga ricostruzione di un rapporto privilegiato del Partito con il mondo del lavoro, altrimenti non c'è ossigeno politico per Rifondazione e non c'è sponda per tutti quei moderni proletari che si rifugiano molto più comodamente nel semplificazionismo razzista, campanilistico ed egoista della Lega Nord o nel rampantismo del Popolo della Libertà. A Fabio Mussi mi rivolgo da semplice militante comunista, ormai da oltre quindi anni: io credo che non vi siano grandi spazi a sinistra per dare vita ad un soggetto politico che metta insieme dei piccoli pezzi di due, tre partiti ora esistenti cercando di creare un valore aggiunto a ciò che oggi esiste. Se il nuovo partito che auspica Mussi nascerà, sarà nel suo incipit un fattore di indebolimento e ennesima scissione dei partiti comunisti e progressisti oggi fuori dal Parlamento ma non ancora dalla società. Se siamo vicini al "rigor mortis" della sinistra, una aggregazione di frammenti - peraltro fortemente connotati da una operazione che a poco a poco che si separa dal suo vertice incontra sempre meno consensi - non farà un "PD" di sinistra, non sarà una Linke tedesca. In Germania il Partito comunista è storicamente debole e la Linke è l'unione di forze socialiste e democratiche. Post comuniste per l'appunto. In Italia, anche dopo la fondazione del partito della sinistra (quella rigorosamente "senza aggettivi!), continuerebbe invece ad esistere un partito comunista, una parte politica, sociale e culturale che non accetterebbe la svolta moderata e riformista di Nichi Vendola, di Claudio Fava e di Katia Bellillo. Mi spiace molto doverlo dire, ma non sarà un nuovo PDS a salvarci dalla crisi in cui siamo caduti. Diversamente sarà un nuovo rapporto tra tutte le anime della sinistra a poter generare una propulsione positiva per un nuovo movimento operaio, per una nuovo "movimento reale" che testardamente vuole "abolire lo stato di cose presente". Condividi