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Dalla casa degli orrori allo studio degli orrori. Parte la nuova stagione di Porta a Porta e riprende il circo Barnum in versione giallo noir. In pista direttori, criminologi, ex accusati, magistrati e chi più ne ha più ne metta. Piatto forte, l’omicidio di Meredith Kercher. O meglio, la fiera delle frasi in libertà sull’omicidio Meredith. Quella che ormai è la terza camera del parlamento diventa, a seconda delle esigenze, aula di tribunale. Un giorno la mitica scrivania del contratto con gli italiani, un altro il banco degli imputati. In special modo nell’ultima “udienza” è andato di scena il processo per direttissima ad Amanda, senza neanche un avvocato difensore, neppure d’ufficio. Lei, una volta Foxy Knoxy, un’altra Viso d’Angelo, un’altra ancora Educanda, è l’oggetto del contendere. “Agnello con pelle da leone”: così artisticamente la dipinge Patrick. Il cognome non importa, i protagonisti di questo dramma di provincia non hanno più cognome, si chiamano semplicemente Amanda, Meredith, Raffaele e Rudy. Suona più familiare, sembrano quasi parte della famiglia quando irrompono dai tg e dai talk show. Quasi quasi si metterebbe su un piatto in più a tavola. “Calunniatrice, astuta, spregiudicata”: così la definisce, con toni più crudi Carlo Pacelli, difensore di Patrick Lumumba. Qui, sia ben chiaro, non interessa difendere o accusare nessuno, sono ben altre le sedi deputate a farlo. Interessa solo dar conto del processo mediatico per direttissima. Si distingue in questo contesto Simonetta Matone, di professione ospite di Porta e Porta e anche sostituto procuratore presso il Tribunale dei minori di Roma. E giù con gli spinelli, con l’alcol, con Amanda e Raffale che il pomeriggio seguente all’omicidio fanno insieme shopping in un negozio di biancheria intima. Discutibile sul piano del buon gusto, irrilevante ai fini della vicenda. Ciò che si perde di vista sono i fatti, per dare spazio alla narrazione che si fa dei fatti, alla pruderie. Nessuno l’accusa direttamente: la condanna viene emessa in maniera più subdola. Con i non detto, con gli sguardi, con le allusioni, con i toni di voce. Ipocritamente condannata. Così bella, sicuramente mangiatrice di uomini, che compra biancheria intima con il ragazzo, che beve, che si fa le canne. Come può non essere stata lei? Durante “l’udienza”, vengono riproposte molte volte in maniera ossessiva alle spalle di Vespa, le immagini al rallenty di Amanda scortata in aula dai secondini. Anche quelle, ai fini del processo mediatico, contribuiscono alla sentenza. Le facce degli accusati poi campeggiano nel maxischermo piazzate al fianco della “villetta degli orrori”. Titolo: “Tre volti per un delitto”, come un libro di John Grisham da sorseggiare fino all’ultimo goccio in spiaggia. Tre volti perfetti in stile “ I soliti sospetti”. Come nel film, il rischio che si corre è quello di aver troppa fiducia nel narratore. Il rischio, cioè, di essere ingannati. Ingannati credendo alle immagini, al racconto che si fa dei fatti, alla sceneggiatura, invece che ai fatti. Nell’era del delitto in diretta, lo spettatore della tv dà piena legittimità e credibilità al narratore-conduttore. Quest’ultimo racconta, lo spettatore ascolta e guarda le immagini. Ma le immagini sono le realtà o solo una sua versione? Sembrano bizantinismi, roba da intellettuali, ma invece così non è. E’ cosa che riguarda noi e il nostro rapporto con la realtà. L’unica speranza, affinché il circo Barnum si trasferisca, è che si arrivi presto ad una conclusione secondo giustizia. Così da far tornare il civico 7 di via della Pergola quello che è sempre stato, ossia una via quasi centrale di una città di provincia, di una regione di provincia, di un paese di provincia. Condividi