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Il governo Prodi prova a dire qualcosa di sinistra, promettendo, già a gennaio, un’inversione di rotta nel senso di prestare una maggiore attenzione alle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, ed immediatamente arriva lo stop di Lamberto Dini che non si fa scrupolo di minacciare ancora una volta il suo voto contrario al Senato dove, avverte, la maggioranza non c’è più. Siamo all’ennesimo ricatto da parte di chi, avendo trovato comodo farsi eleggere su liste bloccate da una coalizione raccolta attorno ad un programma comunemente condiviso, ora, potendo controllare un pugno di senatori sufficiente per sconquassare quella stessa maggioranza, non esita a farsi avanti per imporre a forza, a tutti gli altri, le sue “ragioni”. Il disegno è chiaro: fermare con ogni mezzo il processo di redistribuzione del reddito annunciato da Prodi che, dopo aver speso il “tesoretto” recuperato con la lotta all’evasione fiscale per dare un po’ di sollievo alle famiglie, si ripromette ora di utilizzare i futuri proventi di questa lotta che va intensificata ancora nel 2008, soprattutto per detassare salari e stipendi, così da far recuperare loro almeno parte del potere d’acquisto che hanno perso dall’anno 2000 ad oggi. Lo strumento tentato da Lambertow è altrettanto chiaro: la formazione di un nuovo governo (e perché no guidato da lui stesso?!) di larghe intese perché – sostiene – quello attuale non ce la fa più ad andare avanti, ha raggiunto il minimo della popolarità, per cui – sintetizziamo il suo pensiero – “al prossimo vertice formuleremo le nostre proposte che, se non verranno accolte, porteremo direttamente in Parlamento, per cercare consensi attorno ad esse e dare vita ad un nuovo governo di transizione”. Su una cosa Dini ha sicuramente ragione e si tratta della scarsa popolarità della quale gode questo Esecutivo. Ma c’è da chiedersi il perché di questo e quanta parte abbia avuto lui stesso, con i suoi veti paralizzanti, nel fargli perdere il consenso che aveva ricevuto dal corpo elettorale. In questo tribolato anno e mezzo di vita dell’Esecutivo Prodi, ogni qualvolta si è tentato di anteporre gli interessi dei lavoratori e della povera gente rispetto a quelli delle grandi imprese, ovvero gli interessi della grande maggioranza degli italiani rispetto a quelli di pochi, la miserevole pattuglia diniana non ha esitato a mettersi di traverso: l’esempio più recente l’abbiamo avuto in occasione dell’approvazione dell’accordo sul welfare che, grazie a loro, è stato depurato da tutte le misure migliorative che erano state concordate in sede parlamentare. Siamo, insomma, di fronte ad un uomo che si propone ormai chiaramente di affossare il governo ed il premier eletti dalla maggioranza degli italiani per sostituirli con un altro governo ed un altro premier che non sono stati eletti da nessuno. Se egli fosse coerente con la sua coscienza, dovrebbe invece riconoscere che è stato mandato in Parlamento da uno schieramento che si è formato attorno a Prodi e attorno ad un preciso programma e se ora ha cambiato idea rispetto al mandato che gli elettori gli hanno affidato, la sola cosa onesta che può fare è quella di dimettersi. Dubitiamo, però, che lui - come i suoi amici del resto – vorrà onorare questo impegno assunto con chi lo ha votato che, lo ripetiamo, per il gioco assurdo impostoci con l’attuale meccanismo elettorale, non ha certo espresso una preferenza nei suoi confronti, ma si è limitato a votare l’unico candidato che gli è stato proposto in quel collegio. E’ chiaro, perciò, che i suffragi che hanno portato Dini in Senato non sono suoi, ma appartengono interamente allo schieramento che lo ha candidato, fidandosi della sua parola. Ora, siccome a subire in eterno i suoi ricatti non ci stiamo, anziché a minacciare il suo disimpegno lo invitiamo ad assumersi fino in fondo la responsabilità di affossare apertamente il governo dell’Unione, votandogli contro il Parlamento. Almeno gli italiani sapranno cosa pensare di lui. Condividi