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di Lucia Baroncini - Il Corriere dell'Umbria Anche per Rifondazione Comunista l’autunno sarà caldo. Fra una settimana inizierà la discussione negli organismi dirigenti per definire gli assetti delle segreterie provinciali. Un primo passaggio che dirà sa la tregua estiva interna al partito è finita. A fine ottobre si celebrerà il congresso regionale che potrebbe sancire anche in Umbria la rovinosa rottura fra la maggioranza del partito guidata dal segretario nazionale Paolo Ferrero e i vendoliani che hanno che hanno nel presidente del consiglio regionale Mauro Tippolotti l’esponente di spicco. Tippolotti s’è preso una settimana di vacanza ed è, neanche a dirlo, in Puglia, nel regno di Nichi Vendola. Invece il segretario regionale Stefano Vinti è rimasto a casa per tutto il torrido agosto a tenere alta la bandiera di un partito spolpato dalle elezioni e fatto a fette dal congresso nazionale. Intanto il 5 settembre verrà Ferrero a Marsciano, per la locale festa di Liberazione. La situazione è ancora magmatica e confusa, ma sembra un’ipotesi realistica, se non addirittura imminente, l’uscita dei vendoliani dal partito. In Umbria come altrove. Le risulta, Vinti? Al momento no. Ribadisco che la nostra proposta è sempre la stessa: un governo unitario del partito. Ma dopo il congresso non siete separati in casa? Per quanto ci riguarda il congresso è finito. Non mi sembra che in Umbria ci siano divisioni strategiche così profonde da impedire che si possa governare insieme il partito. L’appello è rivolto ai compagni della mozione due che fa capo a Vendola. Non credo che la dialettica nazionale debba meccanicamente essere riprodotta nei territori. Rifondazione in Umbria si è sempre distinta per l’iniziativa politica, il rapporto con il centrosinistra, per una storia da cui proveniamo tutti. Sarebbe strano non tenerne conto. Se ci fossero opzioni politiche differenti potrei capire, ma non mi sembra che ci siano. Il partito ha in Umbria una autonomia che non va svilita. Il governo unitario in cosa dovrebbe sostanziarsi? Nella condivisione, pur nella dialettica interna, di una analisi e di un progetto politico. Nell’assunzione di responsabilità all’interno degli organismi esecutivi. L’autonomia politica che lei rivendica per il Prc umbro vale anche per l’alleanza col Pd? Vale anche per questo. Il rapporto col Pd è determinato dalla condivisione del progetto politico, che deve partire dall’analisi del dove siamo arrivati per arrivare a definire cosa vogliamo fare. Per quanto riguarda i contenuti, ritengo si debba costruire da un lato la reindustrializzazione dell’Umbria che metta in subordine le tre ‘C’, cavatori, cementieri e costruttori e dall’altro ripensare il suo sistema sociale. Su questo vogliamo confrontarci. Quindi, non ci sarà una messa in discussione a freddo delle giunte di sinistra? Assolutamente no. Ma dobbiamo capire, a fronte di un imminente federalismo, cosa è l’Umbria, cosa vorrà fare da grande e anche il capoluogo che partita vorrà giocare fra Firenze e, Ancona e Roma. Sul tavolo ci sono cose sostanziose. Questo è un passaggio di fase decisivo, con la crisi, la recessione economica, il federalismo e con un cambio quasi totale della classe dirigente nelle amministrative del 2009. Non saranno elezioni ordinarie, incideranno per i prossimi dieci anni. Per questo dico a tutti i compagni del Prc di non riprodurre meccanicamente in Umbria le divisioni nazionali. Devono unirci la nostra grande storia e le grandi sfide. In queste settimane c’è un grande corteggiato sulla scena politica umbra. E’ l’Italia dei Valori. Si parla da giorni di esponenti storici della sinistra umbra, come l’ex senatore Paolo Brutti, in procinto di fare il trasloco nel partito di Di Pietro in tempo utile per le prossime elezioni. Con lui un brandello affezionato della Sinistra Democratica umbra. L’IdV potrebbe fare la parte del leone alle amministrative, prendersi i voti da voi perduti. C’è di che preoccuparsi. Se prenderà più voti vuol dire che la gente glieli vuol dare. Con l’Idv siamo d’accordo su alcune questioni, ad esempio sul referendum contro il lodo Alfano, su altre come le questioni sociali non lo siamo. Il problema è sempre lo stesso: il progetto politico, il cosa vogliamo fare. L’Idv è un alleato dentro una coalizione più ampia. Il nostro impegno è creare, intanto con SD e Pdci, ma anche con i sindacati, con l’associazionismo, un orientamento politico, condividere un’analisi, una prospettiva, ma anche una pratica politica. Se il Prc e la sinistra troveranno compagni di strada, perchè no? L’Idv è vista anche come punto di riferimento del protagonismo civile che vuol tornare in campo con le liste civiche. Anche in questo caso è tranquillo? Le liste civiche non sono un’ossessione. Fino a che non verranno definiti quadro politico e coalizione, penso che esista la reale possibilità che in questa fase ognuno, ritenendosi l’ombelico del mondo, si preoccupi del proprio particolarismo. Io non credo che avventure di questo tipo serviranno. Chi le vuole intraprendere è molto ceto politico alla ricerca di una ricollocazione. Di spinta popolare ne vedo poca. Insomma, fiducia nel sol dell’avvenire? Una cosa mi preoccupa ed è l’inerzia del PD, la sua mancanza di iniziativa politica che alimenta frantumazioni, sfrangiamenti, ricerche personali di ricollocazioni. Volenti o nolenti è destabilizzante sia per il centrosinistra che per il centrodestra. Il mio è un invito: il Pd si assuma la responsabilità di costruire la coalizione, verificando se ci sono le condizioni attraverso tavoli di confronto. Se riprenderà in mano l’iniziativa politica, le liste civiche faranno meno presa. Condividi