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di Romina Velchi - Liberazione Via al congresso. Sciolti, non senza fatica, i nodi delicatissimi dei documenti e del regolamento, il percorso congressuale è ufficialmente avviato. C'è anche un candidato ufficiale, quello della ex maggioranza rimasta fedele a Fausto Bertinotti e Franco Giordano: è Nichi Vendola, che domenica in una conferenza stampa al termine del comitato politico nazionale, ha sciolto le riserve, annunciando, al contempo, che resterà alla guida della regione Puglia «fino alla fine del mandato». Se si vuole, la due giorni di Cpn si è conclusa con un pareggio. Come era annunciato, visto che non si era trovato un accordo, sarà un congresso per documenti contrapposti, come volevano Giordano e i suoi, e non a tesi emendabili, come chiedevano Paolo Ferrero, Claudio Grassi e Ramon Mantovani. Una «sconfitta» ammette l'ex ministro. Ma anche il documento "bertinottiano", primo firmatario Vendola, avrà il suo bel da fare per affermarsi. Infatti, le mozioni sulle quali il corpo del partito dovrà esprimersi sono cinque: oltre alle due "principali", ci sono quelle delle due minoranze "storiche" - L'"Ernesto" di Gian Luigi Pegolo e Fosco Giannini e "Falce e martello" di Claudio Bellotti) - e la "new entry" di Franco Russo, Walter De Cesaris e Gabriella Stramaccioni, che tra le altre cose, propongono che il congresso di luglio non elegga alcun segretario. Quest'ultimo documento ha rischiato di venir escluso dalla "competizione": non aveva le cinque firme necessarie perché potesse essere presentato. Il Cpn, però, ha approvato un emendamento, proposto dallo stesso Franco Russo e sul quale si sono dichiarate favorevoli tutte le componenti, che abbassava a tre il numero delle firme. Cinque documenti, dunque, che oggettivamente rendono più difficile la "corsa" dei due principali concorrenti; tanto che qualcuno paventa il rischio che nessuno dei due ottenga il 51 per cento dei consensi. La sfida, va da sé, sarà all'ultimo voto: dal che si capisce il perché delle tensioni sulla votazione del regolamento congressuale. E' qui che gli "antibertinottiani" (ci si scuserà la semplificazione) hanno ottenuto una netta maggioranza. Pomo della discordia l'articolo 9, quello che regola le modalità di voto nei congressi di circolo (questione procedurale, ma a ben vedere di sostanza). La formula proposta da Ciccio Ferrara fissava un orario, dalle due alle quattro ore, con la possibilità di ottenere "in automatico" una deroga per chi fosse nell'impossibilità di presentarsi (turni di lavoro, problemi familiari eccetera); modalità in grado di «esprimere la massima partecipazione democratica», di garantire «pari dignità» tra gli iscritti che prendono parte al dibattito e quelli che vengono solo per votare e di evitare «discriminazioni e discrezionalità» nelle deroghe, come ha spiegato Nicola Fratoianni, intervenendo a favore. L'altra proposta, formulata da Stefano Alberione, prevedeva invece l'appello nominale con doppia chiama appena concluso il dibattito, così come «hanno scelto di fare, con un grande successo di partecipazione, i Giovani comunisti», ha precisato Mantovani, secondo il quale l'altra modalità «fa diminuire il numero di chi partecipa ai dibattiti», facendoli diventare nient'altro che dei «referendum», e favorisce il cosiddetto «cammellaggio». Già calda, la discussione si è fatta tesissima (a colpi di «Tu vuoi impedirmi di votare»; «E tu vuoi portare le truppe di qua e di là»), al punto che la presidenza ha sospeso i lavori per dare modo al comitato di gestione di sbrogliare la matassa. I "dodici" hanno quindi concordato di mettere in votazione le due proposte e poi dare la possibilità di subemendare quella vincente. Con 113 voti contro 74 (e un astenuto) il Cpn ha approvato la formulazione di Alberione. Ma non era ancora finita. L'articolo 9, infatti, è stato ulteriormente modificato nella parte in cui si stabiliscono le modalità con le quali la presidenza del congresso può concedere o negare le deroghe: le decisioni dovranno essere «motivate» (come aveva chiesto Roberto Musacchio) e saranno a «maggioranza dei 4/5» e non più «all'unanimità». Alla fine, il regolamento così modificato ha ottenuto 124 sì (con Ferrero si sono schierate le altre minoranze, compresi Russo e De Cesaris), nessun contrario e 62 astenuti. Un risultato che l'ex ministro del Welfare giudica «positivo» perché garantisce un «metodo di votazione» che «rende più difficili i cammellaggi: in passato si sono verificati e non sono tra le pagine migliori della nostra storia». Per la cronaca, anche l'articolo 7 del regolamento (quello relativo alla elezione dei delegati) è stato al centro di un dibattito piuttosto aspro. E qui le "correnti" non c'entrano. Nel testo originario si parlava di «composizione tendenzialmente paritaria» (dal punto di vista dei generi), una formulazione, secondo Imma Barbarossa, in contrasto con quanto deciso alla conferenza di organizzazione di Carrara, dove si è stabilito che sempre deve essere garantita una presenza femminile al 50% in qualsiasi organismo di partito, pena la sua decadenza. Inevitabile, dunque, che Barbarossa proponesse di cancellare la parola «tendenzialmente», suscitando però numerose proteste: contrario si è detto, per esempio, Stefano Zuccherini («Come la mettiamo con un circolo di lavoro, dove non ci sono donne o magari uomini?»); ma contraria era anche Marilde Provera: «Sono stronzate, solo chi non lavora nel partito, a partire dai dirigenti, non lo sa». L'emendamento comunque è passato (62 favorevoli, 44 contrari), con la promessa che sarà applicato "cum grano salis". L'appuntamento adesso è a Chianciano, i prossimi 24-27 luglio: la parola va agli iscritti. I quali, in questi due mesi e mezzo che rimangono, dovranno decidere se lavorare per la «ricostruzione del Prc» e per un «coordinamento con le altre forze della sinistra», ma solo ai fini dell'opposizione al governo Berlusconi e senza arrivare ad un nuovo partito, come sostengono gli "antibertinottiani"; oppure se impegnarsi per una «costituente della sinistra», a partire dal Prc ma senza ritorni identitari e, soprattutto, salvaguardando il patrimonio di innovazione politico-culturale del partito. A questa seconda opzione si candida Nichi Vendola: «Sono un candidato eccentrico per un'impresa ardimentosa», ha detto domenica nella conferenza stampa in cui ha ufficializzato la sua corsa alla segreteria del Prc e in cui Franco Giordano è tornato a ribadire di non voler far parte degli organismi esecutivi che usciranno dal congesso: dovrebbero farlo «tutti quelli che hanno avuto compiti direttivi, anche nel governo del Paese». Chiaro riferimento a Ferrero, il quale replica che la candidatura di Vendola spaccherà la sinistra: «Vedo già in rotta di collisione la costituente comunista di Oliviero Diliberto e la costituente socialista di Nichi Vendola. Io credo che, invece di procedere per costituenti opposte, si debba ripartire dal basso, dai militanti e dai simpatizzanti». Quanto a lui, nessuna candidatura ufficiale: «Il nome del segretario si decide alla fine; è più importante discutere della proposta politica». Sennò è «americanizzazione» della politica; si fa un «plebiscito». «La scoppola che abbiamo preso alle elezioni non è un problema di leadership. C'era Bertinotti sia quando il Prc ha preso l'8% sia quando ha preso il 3%. Il problema è decidere cosa fare». Condividi