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Che negli ultimi 25 anni la distribuzione del reddito abbia conosciuto un forte sbilanciamento a favore dei profitti e a tutto danno delle retribuzioni è cosa ormai accertata. Questo fenomeno si è determinato in tutti i paesi industrializzati del mondo e in maniera ancora più accentuata in Italia. Infatti, a partire dal 1983 fino ai giorni nostri, la parte della ricchezza prodotta che è andata a remunerare il capitale è salita dal 23 ad oltre il 30% e di pari passo quella che è andata al lavoro è scesa dal 77 a meno del 70%. Questa la ragione principale dell’impoverimento delle famiglie dei lavoratori, ma non solo, perché il fatto che questo spostamento di ricchezza sia stato così automatico dai lavoratori ai possessori dei mezzi di produzione si è accompagnato al crescente incremento di costo delle materie prime (petrolio, metalli, grano, ecc.) che ha reso ancora più drammatica la situazione. Ciò che è venuto a mancare è stato il famigerato “mercato”, ovvero l’”idolo” di ogni economista liberale che considera la concorrenza fra i produttori come la panacea per curare ogni male, il naturale regolatore di ogni equilibrio. Il ragionamento è apparentemente semplice: la riduzione di uno dei fattori della produzione (in questo caso il costo del lavoro) si dovrebbe trasferire sui prezzi ribassandoli. Ma questo solo sul piano teorico, perché nella pratica così non è stato. Il tanto osannato “libero mercato”, al quale gli imprenditori fanno a parole continuo riferimento, non ha funzionato in questo senso per il semplice fatto che è stato vanificato dalla crescita dei monopoli e degli oligopoli, dal fiorire di cartelli, di settori protetti e di protezionismi di ogni genere grazie ai quali ciò che è stato tolto ai lavoratori lo hanno guadagnato in toto i profitti, le rendite, i bilanci delle società che hanno compensato i loro azionisti con la distribuzione di dividendi sempre più esagerati. Così nulla è andato al contenimento dei prezzi. Anzi, alla crescita del costo dei prodotti energetici ed alimentari ha corrisposto la crescita di quelli dei prodotti finiti, determinando una preoccupante contrazione dei consumi che, oltre ai lavoratori, punisce gli stessi produttori che vedono restringersi il giro dei loro affari. Potremmo perciò ben dire, prendendo a prestito un noto detto popolare, “chi è causa del suo mal pianga sé stesso”, se non fosse che in questa “valle di lacrime” ci ritroviamo tutti quanti, lavoratori in testa che vedono ora messa in pericolo anche la loro occupazione. Come uscirne? Di fronte ad una situazione di crisi come quella che stiamo attraversando la prima reazione istintiva di loro signori è stata quella del chiudere la stalla per cercare di impedire ai buoi di scappare. Ed è ad essa che si sono ispirate le prime mosse di questo governo di centrodestra, con l’applicazione della linea “dura” dettata dalla Lega e ripresa sia da Tremonti che dallo stesso Berlusconi. E’ certo curioso il fatto che gli iperliberisti di casa nostra tornino a prendersela con l’Europa, in specie per l’apertura delle frontiere e dei mercati che questa ha determinato, ma così è visto che la proposta portante delle loro politica è oggi quella di fare un passo indietro, di richiudere i nostri confini nazionali con la tentazione autarchica di salvare le imprese in difficoltà (il caso Alitalia insegna), limitando, appunto, gli effetti del “loro” libero mercato. Sono in chiara contraddizione con i portati economici che hanno sempre propagandato e per di più non si rendono conto che le mosse che si accingono a compiere sono destinate al fallimento pèerché rischiano di determinare danni enormi alle numerosissime imprese italiane (20mila nella sola Romania) che nel frattempo hanno delocalizzato le loro produzioni e che perderebbero i clienti nuovi che si sono fatte all’estero, in aggiunta a quelli italiani che non hanno più soldi da spendere. A nostro parere c’è una sola strada da seguire che, anche se a questo punto obbligatoria, temiamo che i nostri imprenditori non vorranno mai imboccare: è quella della rinuncia ad una parte dei loro lauti profitti per ridistribuire più equamente la ricchezza prodotto a favore di chi lavora, dei milioni di italiani che non ce la fanno ad arrivare a fine mese, così che i consumi riprendano a crescere aiutando la produzione ed il lavoro. E’ quanto ha insistentemente chiesto, inascoltata, Rifondazione Comunista all’uscente governo di centrosinistra che è stato fatto cadere proprio perché ciò non avvenisse. * direttore Umbrialeft Condividi