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La parte che più impressiona fra le 100 statistiche pubblicate nei giorni scorsi dall’Istat come validi indicatori per conoscere e valutare il reale stato del nostro Paese nei suoi diversi aspetti (economici, sociali, demografici e ambientali) è indubbiamente quella relativa alla sicurezza, ciò perché tutti gli osservatori concordano sul fatto che sia stato questo l’aspetto che ha più favorito la vittoria del centrodestra nella recente tornata elettorale. Una generalizzata paura nei confronti del crimine, che si è tramutata in una profonda diffidenza verso gli stranieri immigrati nel nostro Paese, avrebbe cioè giocato un ruolo fondamentale a vantaggio delle forze politiche che più hanno battuto su questo tasto. Tutto questo quando i numeri stanno invece ad indicare che in otto anni la quantità di delitti è fortemente diminuita in Italia: da 13,1 a 10,3 per milione di abitanti, un dato sconvolgente se si confronta al delirio securitario in cui il Partito delle libertà, e ancor più la Lega di Bossi, vogliono mettere il nostro paese. Meno omicidi anche, ma sempre più paura sociale, come dire che la strategia della paura che si vuol negare esiste per davvero ed ha ben funzionato a favore di chi vi ha fatto ricorso. Tanto più che nel panorama europeo l’Italia figura come uno dei paesi più sicuri per numero di morti violente, collocandosi ancora una volta assai al di sotto della media continentale. Tanto per dirne una siamo messi meglio di Francia, Inghilterra e Spagna, dove però l’allarme sociale al riguardo non ha raggiunto i nostri livelli: si pensi che da noi il 58,7% dei cittadini, ben oltre la metà della popolazione quindi, indica questo fattore come il problema dei problemi, quello che deve essere affrontare con estrema determinazione. Siamo chiaramente di fronte a quello che i sociologi definiscono con il termine di “insicurezza percepita” che, ci spiegano in tanti, è quella che conta per davvero perché sta ad indicare il grado con il quale i diversi fenomeni sono avvertiti dai cittadini, anche se si tratta di dati distorti visto che nella realtà hanno dimensioni assai minori rispetto a quanto si pensi, per cui, sebbene le statistiche ci dicano che la delinquenza nel nostro paese è in alo, la maggior di hi ci vive è arrivata ad una conclusione del tutto diversa. Perché è accaduto questo? Sarebbe troppo lungo soffermarci sulle responsabilità che ha al riguardo il sistema informativo italiano come pure sulle tante altre spiegazioni che sono state formulate al riguardo e che sono diversissime fra loro. Noi riteniamo che la ragione fondamentale di questo fenomeno vada ricercata nella più generale insicurezza sociale che è indubbiamente cresciuta in questi anni nel nostro paese: la difficoltà di trovare un lavoro che sia sicuro e che permetta di pianificare l’esistenza, la perdita del potere d’acquisto delle retribuzioni e delle pensioni che ha aumentato il fenomeno della povertà hanno accresciuto il malessere. Il fatto, insomma, che un numero sempre crescente di cittadini si trovi a vivere in uno stato di estrema precarietà, ha fortemente aiutato quelle forze politiche che hanno indicato spregiudicatamente ricette populistiche, ma chiare, per uscire da questa situazione. Tutto ciò ha in sostanza favorito quanti hanno indirizzato il malcontento diffuso verso chi, per religione o nazionalità, è diverso da noi e che è stato accusato di essere venuto a delinquere nel nostro paese, o nel migliore dei casi a rubarci il lavoro. Ha alimentato il fuoco della xenofobia che ha messo in un secondo piano questioni fondamentali, come ad esempio, quella della sicurezza nei luoghi di lavoro, alla quale i grandi mezzi di informazione hanno dedicato spazi assai minori rispetto alle fitte paginate con le quali ci hanno descritto minuto per minuto i delitti commessi da extracomunitari costretti spesso a vivere nella clandestinità e sottoposti ad ogni sorta di sfruttamento, sulle cui spalle è risultato assai comodo scaricare la responsabilità di ogni nostro male. E’ un dato inoppugnabile che nel 58% dei nostri cantieri edili si fa ricorso al lavoro nero, del quale le prime vittime sono proprio gli immigrati non in regola con il permesso di soggiorno e che a causa anche della condizione di profondo disagio in cui vivono si rendono non di rado colpevoli di crimini anche odiosi e feroci. Così come è anche vero che in molti cantieri ed in altrettante numerose aziende italiane non vengono osservate neppure le più elementari norme delle sicurezza: proprio ieri abbiamo dovuto registrare l’ennesima vittima del lavoro in Italia: un operaio edile di 33 anni è caduto da un’impalcatura ed ha perso la vita. Dal primo gennaio di quest’anno, ovvero in poco più di 4 mesi, sono morti nel nostro paese 368 lavoratori, con una media che supera i 3 al giorno, senza che ciò sollevi un’altrettanta sacrosanta indignazione. Alla nuova sinistra, quella che dovrà risorgere dalle ceneri generate da una sconfitta elettorale cocente e dolorosa, spetterà dunque anche il compito di ristabilire una più coerente scala di valori, riproponendo il lavoro, la sua sicurezza e la sua giusta retribuzione, al centro dell’attenzione generale. Non trascurando, certo, anche le questioni della sicurezza urbana, alle quali dovrà dare risposte più credibili che in passato, preoccupandosi soprattutto della certezza della pena, senza fare sconti di sorta a chi delinque, ma respingendo con una forza ancora maggiore le tesi di chi lega tutti in un sol fascio, non distinguendo gli onesti dai disonesti. Chi delinque ha un nome ed un cognome ben preciso, sia esso italiano o straniero, e va chiamato con il suo nome ed il suo cognome e non indicato di volta in volta come rom, oppure come rumeno, marocchino, tunisino o quant’altro. I nostri criminali, mafiosi o camorristi che siano, li identifichiamo giustamente con i loro nomi e cognomi e non certo come siciliani o napoletani e men che meno come italiani. E quando all’estero qualcuno ha voluto fare questo ignobile accoppiamento ci siano altrettanto giustamente indignati anche perché se non si è attenti nel fare questa distinzione c’è il pericolo che si inneschi una infame spirale di violenza, una caccia indiscriminata a chi non la pensa come noi ed esce dai nostri canoni comportamentali. Una spirale, come ci insegna quanto è accaduto a Verona, che può avere sbocchi assai tragici. Ora ci dicono che gran parte dei mali che affliggono il nostro paese può essere superata ridando slancio alla nostra economia e per farlo ci viene indicata la strada dell’incremento della produttività nazionale per occupato. Solo così, ci spiegano tutti gli economisti liberal più accreditati, potremo premiare i lavoratori più solleciti aumentando le loro retribuzioni, come pure far crescere il lavoro a tempo indeterminato e il potere d’acquisto delle pensioni. Se faremo ciò si allargherà, ci assicurano, la parte della ricchezza prodotta destinata a chi fatica quotidianamente per crearla. Ciò che questi economisti non ci dicono è però come mai in tutto il mondo, quindi anche nei paesi dove la produttività del lavoro è stata maggiore rispetto all’Italia, negli ultimi 25 anni si è determinato un profondo squilibrio nella distribuzione del reddito che ha premiato esclusivamente il profitto a danno proprio del lavoro. E poi, altro mistero non rivelato, c’è da considerare il fatto - attestato sempre dall’Istat - che la nostra “produttività nazionale per occupato – storicamente simile a quella di Francia e Germania – ha visto perdere terreno nel periodo 2001-2005 (mentre governava il centrodestra, ndr), con un recupero nel biennio 2006-2007 (proprio durante il breve governo di centrosinistra, ndr)”. Insomma, ammesso e non concesso che la teoria di questi signori sia esatta, non possiamo certo dirci tranquilli neppure da questo punto di vista, dato che il recente voto politico ha riconsegnato proprio al centrodestra il timone del nostro paese. *direttore Umbrialeft Condividi