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Redazione di “Altreconomia” Governo e aziende italiane (a maggioranza statale),ignorando i problemi ambientali e i costi per la collettività, stanno con decisione puntando verso fonti fossili, ovvero nucleare e petrolio. «Finora abbiamo delocalizzato il lavoro, ora possiamo delocalizzare il nucleare». In Albania, secondo Giulio Tremonti, ministro dell’Economia, che a inizio aprile ha dettato in un’intervista a Il Sole-24 Ore la sua ricetta per ridurre la dipendenza energetica dell’Italia: centrali oltre l’Adriatico e infrastrutture sottomarine per importare l’energia elettrica prodotta. In molti, però, sostengono che il nucleare non sia una risposta alla crisi energetica del Paese. Sono 1.306 i professori universitari e i ricercatori italiani che hanno firmato un appello in cui invitano il governo ad investire in energie rinnovabili vere (solare, eolico) e a promuovere il risparmio energetico. «Il nucleare, spiega l’appello che potete leggere sul sito www.energiaperilfuturo.it, necessita di enormi finanziamenti pubblici e ha una filiera intrinsecamente insicura. In più, è difficile reperire depositi sicuri per le scorie e nemmeno l’uranio è infinito». Eni ed Edison (la prima controllata dallo Stato, la seconda dai francesi di Edf, attraverso un complicato gioco di scatole cinesi) sono invece a caccia del petrolio iracheno. Le due aziende, leader sul mercato energetico italiano, sono in lizza con altre 33 di tutto il mondo per l’assegnazione dei contratti sul greggio dell’Iraq, che potrebbe essere bandita nel mese di maggio. La gara, la prima a cinque anni dall’invasione del Paese e dopo la caduta di Saddam Hussein, arriverà molto probabilmente prima della nuova legge irachena sul petrolio, che non è ancora stata approvata e sarebbe arrivata alla quinta stesura. Le questioni controverse, quelle che stanno bloccando il testo, sono due: l’apertura del settore petrolifero iracheno alle multinazionali, e in che misura, la divisione delle competenze fra governo centrale e governi locali (il contrasto è tra Baghdad e il governo regionale del Kurdistan che ha già firmato contratti con una ventina di compagnie straniere, sulla base di una sua legge sul petrolio approvata nell’agosto del 2007). Entro fine maggio Eni, oltre 10 miliardi di utili nel bilancio 2007 (più 8,6% rispetto all’anno precedente), dovrebbe arrivare anche all’accordo sullo sfruttamento del giacimento di Kashagan, in Kazakhstan (vedi Ae 88). La compagnia, i cui maggiori azionisti sono il ministero dell’Economia 20,31%) e la Cassa depositi e prestiti (9,99%), manterrà la leadership del consorzio Agip Kco, che sfrutterà il giacimento fino al 2041 e che comprende anche Exxon, Shell, Total, Inpex, Conoco Philips e la compagnia nazionale kazaka Kmg. In virtù del nuovo accordo, Kmg parteciperà al consorzio con la stessa quota (16,8%) di Eni, Total, Exxon e Shell. Inoltre, il governo kazako riceverà un bonus di 5 miliardi di dollari. Eni investirà almeno 20 miliardi di dollari. Dal 2002 sono iniziati i lavori per gli impianti di estrazione e lavorazione del petrolio. Lo sfruttamento, un miliardo e mezzo di barili di petrolio l’anno, dovrebbe iniziare nel 2020 e continuare fino al 2041. Condividi