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«E io sarei il conservatore?». Claudio Grassi, coordinatore dell'area Essere comunisti e principale alleato di Paolo Ferrero nella battaglia politica che si è aperta nel Prc dopo la sconfitta elettorale, ci tiene a precisarlo: «Quando nel 1991 lottavo per far nascere Rifondazione comunista ero conservatore? Direi di no, visto che abbiamo dato vita ad una forza politica che è servita proprio a portare avanti quegli elementi di innovazione di cui alcuni oggi si vantano. E non ero conservatore un anno fa, a Carrara, quando insieme con Giordano abbiamo costruito, senza contrapposizioni, un documento di rilancio del partito. Dunque, eviterei di usare, specie nella fase precongressuale e in modo strumentale, le categorie "innovatori e conservatori"». Grassi è senatore uscente ed è, appunto, tra i fondatori del Prc che non ha più lasciato, anche a costo di rompere un lungo sodalizio con Armando Cossutta. Secondo lui, sulla sinistra, «pesa un ciclo di sconfitte del movimento operaio, che risale alla fine degli anni '70. Sconfitte dalle quali non ci siamo mai risollevati». Ma per quanto riguarda il nostro risultato elettorale, ha pesato di più il voto utile, la presenza al governo o ci sono cause più profonde? Più di tutto ha contato il bilancio del governo. La considero la causa prioritaria della sconfitta elettorale. Una volta battuto Berlusconi, tutte le forze che erano state all'opposizione hanno fatto promesse che però hanno completamente disatteso. Suscitando grande malcontento, una grande delusione. La gente ha pensato: ecco, quando stanno all'opposizione fanno promesse e poi al governo si comportano come gli altri. E noi del Prc abbiamo pagato più degli altri. In diciotto mesi abbiamo votato il rifinanziamento della missione in Afghanistan quando precedentemente avevamo votato contro; Prodi ha dato il via libero alla base di vicenza, quando nel programma si parlava di riduzione delle spese militari. Per non parlare dei temi sociali: basta pensare al protocollo sul welfare. E come si fa, adesso, a ridare fiducia a militanti ed elettori? Non è certamente un lavoro di breve periodo. Per risalire la china, innanzitutto, abbiamo bisogno di un partito, che oggi invece è in grave difficoltà. Negli ultimi anni è stato gestito male, sono state alimentate le divisioni interne. Ora dobbiamo rilanciarlo e insediarlo nel territorio. In secondo luogo, dobbiamo riconnetterci con la società. E le due cose sono connesse: per tornare in contatto con la società ci serve uno strumento, il partito, minimamente funzionante. Il Cpn di domenica scorsa, in questo senso, costituisce un punto chiaro: abbiamo ribadito che prima di tutto viene Rifondazione. E' un elemento di chiarezza fondamentale per i compagni e le compagne chiamati ad uno sforzo enorme nei prossimi anni. Si lavorerà per l'unità a sinistra, ma il Prc c'è e resta. Questo è il tema su cui il congresso dovrà decidere. Perché è innegabile che, in campagna elettorale, si sia indicata una strada sulla quale incamminare il partito, alla fine della quale Rifondazione non c'era più. Perché dite no alla proposta di Diliberto di tornare insieme? Perché noi siamo impegnati prima di tutto in un'altra impresa, quella di rilanciare il Prc, che si dibatte in una crisi profonda e che, invece, ha grandi potenzialità di espansione. Siamo convinti che senza Rifondazione qualsiasi processo di aggregazione a sinistra sia destinato al fallimento (come dimostrano i fatti). Ma anche molti esponenti della ex maggioranza dicono di non voler sciogliere Rifondazione. Beh, quando si dice che il progetto dell'aggregazione darà vita ad un soggetto unico; quando si parla di comunismo come tendenza culturale, io capisco che si vuole partire dal Prc ma per arrivare ad un'altra cosa. Per voi, invece, cosa significa unità a sinistra? Per noi unità a sinistra significa che Rifondazione mantiene la sua autonomia, aumenta il proprio radicamento sul territorio, si rafforza e si unisce non solo con partiti, ma anche con associazioni, comitati, singoli, attorno ad iniziative comuni (manifestazioni e mobilitazioni, campagne referendarie e raccolte di firme) che insieme si giudichino necessarie. Mi auguro che al congresso tutti dicano veramente ciò che pensano: le ambiguità sarebbero di impedimento ad una scelta chiara da parte dei compagni e delle compagne. E i movimenti? Non sono per ridiscutere l'importanza dei movimenti. Anzi, credo sia necessario ricostruire una relazione con loro. E qui ritorna il tema del governo: non a caso sono stati i primi a criticarci. Pensiamo al movimento per la pace e al fallimento della manifestazione di piazza del Popolo. Abbiamo pagato la nostra incoerenza votando per l'Afghanistan. Gli operai hanno votato Lega. Come si recupera un simile risultato? Si recupera ricostruendo la nostra credibilità, oggi piuttosto ridotta. Cioè ritornando, anche fisicamente, a contatto con il mondo del lavoro e praticando, umilmente, ciò che sosteniamo. Soprattutto, costruendo mobilitazioni, lotte, iniziative, attività sul territorio di opposizione al governo Berlusconi e alle sue politiche tese a ridimensionare il sindacato e il contratto nazionale. Ma come si fa a fare tutto questo stando fuori dal parlamento? Bisogna fare di necessità virtù. Io non penso che il livello istituzionale sia più importante del radicamento nella società e del rapporto con i movimenti. Però, certo, stando fuori dal parlamento hai poche possibilità di incidere nelle scelte. Non possiamo far altro che investire nella costruzione delle lotte e riorganizzarci per puntare a rientrare presto nelle istituzioni. Ci sono scadenze elettorali a breve (amministrative e europee); ci sono le riforme istituzionali e, soprattutto quella elettorale (ricordo che incombe il referendum). Dobbiamo mettere in piedi iniziative, movimenti di opinione come quelli che ci hanno permesso di bocciare la riforma costituzionale del precedente governo Berlusconi. Oltre che, naturalmente, tenere alta l'attenzione su temi decisivi come il risarcimento sociale o l'immigrazione. Ma intanto il partito è profondamente lacerato: avete litigato pure nel comitato di gestione... C'è una discussione. Vedremo quale linea sceglieranno i compagni. In questo senso mi piacerebbe se provassimo a fare un congresso a tesi, invece che a documenti contrapposti. E' un mio vecchio pallino, che a Venezia fu respinto, causando divisioni che sono, a mio parere, tra le cause dei guai successivi. Siccome non tutto mi divide da Giordano, non vedo perché io non possa votare quelle parti del documento che mi trovano d'accordo e proporre invece una tesi alternativa laddove le opinioni divergono, come sul destino di Rifondazione. Non cambia nulla: la tesi che prende più voti prevale, ma almeno teniamo unito il partito ed evitiamo di spaccarlo in correnti cristallizzate. Lo proporrò nella commissione politica. Anche se, leggendo certe interviste, mi pare che di capire che si voglia andare in un'altra direzione. Condividi