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di Paolo Petroni per l'agenzia Ansa Quest'anno il teatro di prosa a Spoleto è stato ricco di occasioni di ogni genere, da quelle più semplici e poco da Festival come l'Ayckbourne di The Kitchen Company, che comunque ha fatto da leggero intermezzo, ai grandi appuntamenti con Robert Wilson e Peter Brook o attori quali Fanny Ardant e John Malkovich. Un vero gioiello in tutto questo è stata la ripresa del 'Barbablù' di Cesare e Daniele Lievi, riallestito dal CTB di Brescia nel ventennale della scomparsa di Daniele, che firmava scene e costumi, ma in realtà lavorava in simbiosi col fratello, che firma adattamento e regia dal celebre testo di Georg Trakl. Lo spettacolo, che si svolge in una sorta di teatrino-camera ottica di due metri per due, nacque 26 anni fa per la Biennale di Venezia, ma non ha perso nulla della sua originalità, della sua forza, della sua poesia inquietante, tutta costruita per immagini, in cui le poche parole, magari ripetute più volte, sono come didascalie esaltate dalla forza dell'impeto della colonna sonora. Tra tutti coloro che inseguono il cinema a teatro Lievi è quello che più vi riesce, con una scelta sperimentale e di origine pittorica nei tagli delle scene, nelle luci e i colori, nell'assoluto nitore. Il piccolo riquadro del palcoscenico in realtà si presenta come un fotogramma, una finestra in cui tutto è in movimento senza scatti, in modo continuo grazie a tapis roulant e botole che salgono e scendono, così che tutto prende quella essenziale e poetica affettazione che von Kleist attribuiva alla recitazione delle marionette, ma anche l'andamento di un lento scorrere di una pellicola. In più, in un continuo gioco di sipari e quinte scorrevoli, la visuale cambia punti di vista, ma sopratutto prnde mille dimensioni, allargandosi all'intero o riducendosi a una fessura, una metà o una parte, in un gioco geometrico di tagli e ritagli, di zoomate e primi piani. Una storia di ferocia e di morte, di sensualità e sangue, con Barbablu' che uccide le sue spose dopo averle possedute, ridotta a forti visioni suggestive e coinvolgenti: da questo mondo di orrori non c'è salvezza in questo mondo di lussuria da punire, di eros e thanatos, davanti a un Dio indifferente, di cui si implora vanamente la pietà. Peccato che ad assistere alle tre repliche del lavoro, allestito nel vecchio Palazzetto dello sport con una piccola platea, fossero poche persone. Il problema del pubblico, e forse del suo marketing, specie in questo periodo di crisi (venire a Spoleto e acquistare i biglietti prevede una certa spesa) è quello, sembra, del Festival che sta comunque dimostrando nuova vitalità grazie all'impegno di Giorgio Ferrara. Ma ieri, l'ultimo sabato, quello un tempo della folla strabocchevole, ha visto i celebri, assaltati Concerti di Mezzogiorno riempire solo la platea del Caio Melisso, che nel pomeriggio non aveva più di 50 spettatori per il bel debutto di Valerio Binasco in 'Crociati', spettacolo di Gariele Vacis, ironica narrazione che prende le mosse da 'Nathan il saggio ' di Lessing. Tutto pieno invece per la danza al teatro romano per Claudio Bisio con 'Io quella volta avevo 25 anni', ultimo testo, mai rappresentato, di Giorgio Gaber e Sandro Luporini con la regia di Giorgio gallione per il Teatro dell'Archivolto. Condividi