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di Paolo Petroni per l'agenzia Ansa Spoleto chiude stasera col concerto in piazza (Bernstein e Mahler diretti da Diego Matheuz) e nel segno di Peter Brook, a 85 anni il grande vecchio del teatro mondiale, che nelle sue ultime regie alla Bouffes du Nord ha raggiunto una essenzialità e una intensità di forza poetica davvero eccezionale, dedicando particolare attenzione alla cultura africana e all'Islam, dopo il grande excursus su quella orientale e indiana che ebbe il suo culmine con lo storico, stupendo Mahabharata. Al Festival ha portato 'Eleven and twelve / 11 and 12' in cui il titolo fa riferimento a due diverse tradizioni nel contare e ripetere la preghiera un dato numero di volte. Due tradizioni che non hanno nulla l'una contro l'altra, ma che finiranno per scatenare contrasti e lotte tribali, che la dura dominazione francese non riesce a controllare, per quanto usi la mano pesante. Lo spettacolo nasce dal romanzo autobiografico 'Tierno Bokar' dello scrittore indigeno Amadou Hampatè Ba, che pone come centrale la questione religiosa, non con intenti moralistici , ma come cartina di tornasole nel rivelare la sostanza delle fervide relazioni familiari, sociali e quindi politiche e le loro contraddizioni, che possono diventare la leva per faide e sommosse, specie se le guide spirituali più seguite - qui Tierno e Hammalah, cui il primo, ormai anziano, passerà il testimone riconoscendone l'autorità, mentre questi verrà poi esiliato in Francia dall'autorita' coloniale - le alimentano. Brook racconta il tutto con semplicità e una bella dose di ironia, puntando sulla fede pura, il seguire i precetti di rettitudine e accettare il proprio destino, senza alcun integralismo, e facendo leva su alcune metaforiche storie di sapienza minima, piccole parabole sulla forza di carattere o l'uso del potere, sapendo che nella vita, anche se cogli tutto a piene mani, poi devi ''lasciar andare'' e che ''la verità è nel mezzo, non essendo ne' la tua, ne' la mia''. Un teatro fatto della bravura degli interpreti, naturalmente, della loro misura, e poi con quel che si ha: un teatro povero tutto costruito su e con alcune stuoie, un poco di sabbia, alcuni ciocchi di legno e due o tre altri oggetti più emblematici che altro, ma con cui suggerire e suggestionare, come nella costruzione della piroga che ondeggia sul fiume solo tirando e piegando una delle stuoie. Un teatro dei gesti naturali, della parola usata per tornare a dar senso profondo alle cose elementari, uno spettacolo emozionante, con musica dal vivo su strumenti etnici, eseguita da Toshi Tsuchitori, e interpretato da Antonio Martinez, Makram Khoury, Tunji Lucas, Jared McNeill, Khalifa Natour, Abdou Ouolouguem, Maximilien Seweryn, tutti applauditissimi alla fine dal pubblico, che riempiva la piccola gradinata del San Simone. Condividi