Franco Calistri
Socialismo 2000
Non se ne può proprio più di questo continuo ritornello governativo secondo il quale tra le economie avanzate l'Italia è quella che non solo ha sofferto di meno le conseguenze della recessione globale ma che a partire dal 2010 riprenderà a crescere con performance superiori al resto dei paesi occidentali. E' falso, si tratta di bugie belle e buone e, come tutte le bugie hanno le gambe corte. Ormai il dato del 2009 è consolidato. L'ultima stima, quella del Fondo Monetario Internazionale, indica per l'Italia una decrescita del PIL di 4,8%, pari a quella della Germania e del Regno Unito, inferiore a quella del Giappone (- 5,3%) ma superiore a Francia (-2,3%), Canada (-2,6%), Stati Uniti (-2,5%), Spagna (- 3,6%). In queste statistiche della crisi quello di cui non si tiene conto è che la crisi in Italia è iniziata già nel 2008 con una flessione del PIL dell'1,0%, mentre tutte le altre economie, ad esclusione del Giappone, presentavano variazioni di segno positivo attorno al punto percentuale. Per cui se si considera correttamente il biennio 2008/2009 la performance dell'economia italiana è stata del -5,8%, ovvero la peggiore, dopo il Giappone (-6,4%), tra tutti paesi industrializzati, con un risultato negativo quasi doppio rispetto al -3,3% dell'intera area Euro. La situazione, sempre sulla base delle indicazioni FMI, appare ancor più critica se si analizza l'andamento del PIL per abitante che, sempre nel biennio 2008/2009, in Italia subisce una contrazione di 7,3 punti percentuale, peggio del Giappone, che si ferma al -6,3%, e di tutti i paesi dell'area Euro (-4,3%).
Guardando al futuro anche in Italia, come nel resto delle economie occidentali, a partire dall'anno in corso vi sarà una attenuazione della discesa della crisi ed una leggera ripresa della crescita che però, nonostante le dichiarazioni ottimistiche del governo, cifre alla mano, sarà di intensità inferiore rispetto a quella degli altri paesi e stimata, per il biennio 2010/2011, attorno ad un 2,3%, rispetto al 6,3% del Canada, al 5,2% degli Stati Uniti, al 3,1% della Francia, al 3,4% di Germania e Giappone, al 4,0% del Regno Unito. Peggio dell'Italia solo la Spagna con uno 0,3%. La situazione non migliora se si considera la crescita del PIL per abitante, che nel caso dell'Italia, sempre nel biennio 2010/2011, è stimata dello 0,9%, rispetto all'1,9% dell'intera zona Euro, del 4,1% del Canada, del 4,2% di Giappone e del 3,1% degli Stati Uniti. Il tutto in un quadro nel quale il PIL per abitante è tornato ai livelli del 1999, per cui, con un punto di partenza così basso, i tempi di recupero saranno assai lenti, forse solo nel 2017 l'economia italiana riuscirà a riportarsi ai livelli pre-crisi.
Intanto assistiamo al peggioramento dei conti pubblici, con un rapporto debito/PIL che è tornato a posizionarsi sui livelli del 1992, mentre sul versante dell'economia reale continua la perdita dei posti di lavoro e l'aumento della disoccupazione. Nel terzo trimestre 2009 (ultimo dato disponibile) rispetto ad analogo periodo del 2008, gli occupati sono calati di oltre mezzo milione di unità, di questi la gran parte lavoratori dipendenti, in particolare con contratti a termine o di collaborazione (220.000 unità). La disoccupazione ha ormai abbondantemente superato i due milioni di unità per un tasso di disoccupazione dell'8,5%, che sale ad oltre il 10% se si considerano le decine di migliaia di lavoratori che alla scadenza degli ammortizzatori sociali si troveranno senza lavoro e senza reddito.
In questa situazione, a fronte della colpevole incapacità di intervenire di un governo che non sa andare oltre sempre più stanche e ripetitive dichiarazione di ottimismo, un ruolo centrale possono e devono svolgere le Regioni, le quali, in forza della riforma costituzionale del titolo V della Costituzione, sono titolari di ampi ed esclusivi poteri di intervento in materia come il lavoro, l'assistenza sociale, le politiche abitative ed altro. Per questo è necessario che le coalizioni di centro di centro sinistra assumano il lavoro come obiettivo prioritario attraverso la realizzazione, come proposto dalla Federazione della Sinistra per l'Umbria, di Piani regionali per il lavoro che abbiano al centro obiettivi quali piena occupazione, superamento del precariato, contrastando, anche per via legislativa, le tante forme di una precarietà che produce dequalificazione, bassi redditi e deprime innovazione e domanda interna. Certo per interventi di questo tipo sono necessarie risorse che possono venire studiando anche a livello locale forme di tassazione della rendita, ma sopratutto redistribuendo le risorse disponibili e cambiando le priorità di spesa, assumendo la variabile lavoro come pregiudiziale nella scelta degli interventi, nel finanziamento dei progetti. Che ciò sia possibile lo hanno già dimostrato alcune realtà regionali, come la Puglia, che, nonostante le difficoltà di bilancio, hanno cercato di sopperire alle carenze del Governo stanziando fondi per sostenere il reddito dei disoccupati, imprese in difficoltà, per contrastare il precariato e il lavoro nero. Il Consiglio regionale dell'Umbria sta discutendo della proposta, avanzata dal PRC, di istituzione del reddito sociale: primo importante passo che si muove nella giusta direzione. Ma è del tutto evidente che la questione lavoro, assieme ad altri punti come il no al nucleare e la difesa della proprietà pubblica dei beni comuni, deve diventare il tema centrale della campagna elettorale della Federazione della Sinistra e dell'intera coalizione di centro sinistra per le prossime regionali.
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