Dopo la kolakèia di Edmondo Berselli nei confronti della giuria di La Repubblica solennemente incaricata di selezionare i dieci "capolavori" italiani del primo decennio di questo XXI secolo dell'èra sempre più vulgaris , è impossibile sottrarsi alla verifica delle scelte compiute - come appare nelle pagine culturali di quel giornale del 19 dicembre - da quella giuria. Bertelli butta le mani avanti, scrivendo con ipermodesta sincerità: «Non ricordo nulla. Degli ultimi dieci anni… buio assoluto… Mi sembra che niente possa essere ricordato; quindi c'è da essere grati alla giuria per essere riuscita a comporre una specie di canone occidentale dell'intrattenimento». Ma poi egli si butta, parla, cerca di ricordare anche lui. Tuttavia entriamo in argomento. Stranamente i dieci "capolavori" appartengono soprattutto agli ultimi cinque anni, e c'è, in modo deplorevole e inesatto, una massiccia superiorità degli scrittori sulle scrittrici (nove uomini, una sola donna). Inoltre almeno sei dei "magnifici dieci" sono di recente pubblicazione: Spavento di Starnone è addirittura uscito soltanto qualche settimana fa. A che è dovuta - ci si chiede - questa improbabile e improvvisa esplosione di geni letterari? Ancora stranezze di questa classifica: l'anagrafe rivela che gli anziani sono soltanto due, Arbasino e Tabucchi; idem i giovani, soltanto Ammaniti e Saviano. Sei sono di età media. Gli anziani sono stati dunque falcidiati: I giovani letteralmente schiaffeggiati.
Intendiamoci, in questa classifica vi sono nomi di autori e titoli "rispettabili" - tuttavia non ne definirei nessuno "capolavoro" -, ma altri, qui "innominati" avrebbero potuto - in modo credo incontestabile - rappresentare il meglio del decennio appena trascorso. Parlo soprattutto di giovani di grande talento, di cui si trascura qui il contributo qualitativo alla non certo soddisfacente attuale produzione editoriale, folta di bestseller di modesta qualità. Come fingere infatti di ignorare due libri che hanno fatto prepotente irruzione nello stanco panorama letterario italiano, ricchi di complesse tematiche esistenziali, sociali, politiche e persino cronachistiche, e forniti di una potenza evocatrice difficilmente riscontrabile durante tutto questo lungo periodo preso in esame, quali sono stati L'anno luce (Tropea, 2005) e soprattutto Dies irae (Rizzoli, 2006) di Giuseppe Genna? Ma anche l'esordio Con le peggiori intenzioni di Alessandro Piperno (Mondadori 2005), spregiudicata e a volte temeraria rappresentazione di personaggi, ambienti e costumi di una middle class ebraica ricca, e in tale ambito, la tormentata vicenda di un giovane rampollo di essa, ostinatamente perseguitato da una parossistica e insieme acerba passione amorosa? E ancora, la terza opera narrativa di Mario Desiati, Il paese delle spose infelici (Mondadori, 2008), struggente racconto di un gruppo di giovani visceralmente legati alla loro terra meridionale, ma proiettati in vani tentativi di fuga anche da un clima avvelenato dalle esalazioni tossiche di grandi complessi siderurgici, in contrasto con la dolcezza e insieme la malinconia di ragazze che continuano a popolare quei paesi? Così anche La guerra dei cafoni di Carlo D'Amicis (Minimum fax, 2008), vicenda di guerre, anche cruente, pur con l'aspetto di teppistico gioco adolescenziale, narrata con la singolarità di uno stile "misto", ma chiarissimo, fluido, velocemente drammatico. E, per contrappunto, come dimenticare la squisita opera di Sandra Petrignani, La scrittrice abita qui (Neri Pozza, 2007), racconto, sempre energicamente evocativo, di una visita sistematica alle antiche abitazioni di quelle che sono state le più famose scrittrici di diverse nazionalità, quali la Yourcenar, Virginia Woolf, Colette, Grazia Deledda? Ma vi sono altri libri stranamente dimenticati, o espunti - ma sono stati almeno letti? - dalla classifica stilata da una giuria che evidentemente non riesce a sottrarsi al richiamo di un'attualità fin troppo vicina alle sirene del "mercato". Ingiusto è dimenticare I fannulloni , e Crampi (Einaudi, 1990, 1992), "favole realistiche" ma intensamente poetiche di Marco Lodoli. Lacune imperdonabili, La dismissione di Ermanno Rea (Rizzoli, 2002), storia di un grande amore sullo sfondo storico-sindacale della lotta contro lo smantellamento delle acciaierie di Bagnoli; e Disìo di Silvana Grasso (Rizzoli 2005), affascinante anche se disillusa e tragica biografia di una giovane psichiatra, vincitrice di un concorso che la porta a lavorare in ospedale in una Sicilia dapprima a lei estranea e ostile, ma divenutale infine necessaria, pur tra misteriosi e urticanti intrecci di mafia, per un grande amore impossibile. Infine come ignorare la recentissima silloge di racconti, Guerra alla tristezza (Fandango, 2009) di Edoardo Albinati, che si conferma uno dei più forti e civili talenti letterari italiani, dotato di uno stile originalissimo, fortemente avvincente proprio per il suo apparente distacco, e di una capacità di travolgere i più diversi ostacoli della banalità quotidiana con la noncuranza di chi conosce e rifiuta sorridendo, ma con una sfumatura di ironia, l'arma della violenza. Misteriosa e inaccettabile l'esclusione di Sandro Veronesi, autore del forte romanzo Caos calmo , e di altri testi narrativi importanti, e soprattutto di un'inchiesta di straordinaria tensione civile ma anche stilistica, sulla inumana condizione di quanti aspettano in alcuni stati Usa l'esecuzione nei famigerati bracci della morte.
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