Sei milioni: è il numero degli ebrei assassinati dalla furia nazista. Quella stessa cultura "che li ha spinti nei forni" ha chiuso la porta del forno globale che sta surriscaldando il pianeta dietro la schiena di quel quasi miliardo di persone che hanno l'unica colpa di vivere oggi in Africa. L'immagine è cruda, arriva dal capo negoziatore sudanese alla COP15 Lumumba Stanislas Dia-ping che ha guidato il GG77, il blocco dei 130 Paesi tra i più poveri del pianeta. Il non-accordo che i "soliti noti" hanno chiuso ieri Lumumba lo definisce «patto suicida di distruzione, per mantenere la dipendenza economica da un pugno di Paesi». Alcuni europei hanno storto il naso, hanno parlato di "paragone disgustoso", "offensivo". Noi, però, siamo con lui e con Ian Fray delle isole Tuvalu: «Avete messo trenta denari sul tavolo per farci tradire il nostro popolo - ha protestato a caldo - ma il nostro popolo non è in vendita».
La resistenza dell'Africa non è nobile, velleitaria, ideologica: è necessaria. Il continente più grande della terra, che ospita oltre il 14% della popolazione del mondo, vedrà le sue temperature aumentare tra i 3 e i 6 gradi se quella del resto del mondo toccherà quota due gradi come previsto a No-hope-naghen . Ogni giorno in Africa muoiono oltre 20mila persone solo di fame. Che succederebbe se, come prevede la FAO, ai tassi di riscaldamento attuali nel 2080 l'agricoltura producesse tra il 3 e il 15% in meno di quanto fa oggi? Il Senegal, ad esempio, perderebbe fino al 50% dei suoi raccolti. Già oggi lì più di un bambino su cinque sotto i cinque anni è denutrito. Sono 265 milioni gli africani affamati e le siccità, la penuria d'acqua e di servizi aggravano ogni giorno la situazione. L'UNDP, il programma di sviluppo dell'ONU, sostiene che quasi un miliardo di persone, africani per lo più, siano a rischio di catastrofi naturali: 344 milioni esposte a cicloni tropicali, 521 milioni a inondazioni, 130 milioni a siccità, 2,3 milioni a frane. 200 milioni potrebbero trasformarsi in profughi ambientali. Quanto costerebbe all'Africa adattarsi a questi cambiamenti? Tra il 5 e il 10% del suo Pil, calcola il programma delle Nazioni Unite sull'ambiente. E dove li trova questi soldi l'Africa se, come appura la Wto, tutto il suo commercio vale poco più del 3% del mercato globale, e il suo arretramento in questo spazio grazie alla concorrenza sleale dei nostri prodotti stra-sussidiati e di quelli cinesi, dal 1980 ad oggi le è costato circa 70 miliardi di dollari l'anno, 5 volte quello che ha ricevuto mediamente in aiuti, il 21% di tutto il suo Pil?
Vorremmo essere sorpresi dalla fine ingloriosa della COP15, dall'opportunismo della Cina, ben nascosta dietro al fronte del Sud, salvo smarcarsi "last minute" per sottoscrivere la dichiarazione finale a braccetto con il Sudafrica. Dell'inconsistenza dell'Europa, occupata a coprire gli affari delle lobby dell'energia. O del Brasile, che ormai firma qualunque cosa pur di poter continuare a produrre agrocombustibili. O dell'Obamaflop. Non ci tradirà, sostenevamo gli African e African-American Climate Justice leaders in una lettera nella quale avevano chiesto al presidente di considerare la lotta ai cambiamenti climatici un diritto umano fondamentale. "Siamo le sue radici, la sua storia, non può dimenticarci", sosteneva Kari Fulton, loro giovane portavoce. Eppure è successo. Gli è bastato promettere un po' di dollari di aiuti (anzi di prestiti) per sentirsi a posto con il suo Nobel e lasciare la COP15 tra gli insulti degli attivisti.
Vorremmo essere sorpresi, ma siamo solo disgustati. Dopo le mille promesse fatte al G8 aquilano, a favore di camera e con sfondo sulla maceria, a novembre li aspettavamo tutti a Roma, alla FAO, dove lo sfondamento del tetto psicologico del miliardo di affamati, il picco proprio in Africa, ha fatto sperare al mondo che i suoi presunti leaders si dessero da fare. Ne' Obama ne' gli altri hanno voluto, però, mettere la faccia su quella tragedia annunciata. Il blocco del cosiddetto "Ciclo di negoziati dello sviluppo" ci aveva fatto immaginare che si sarebbero presentati almeno a dicembre a Ginevra, al vertice della Wto, per evitare che le liberalizzazioni al buio dei mercati agricoli, energetici e dei servizi essenziali aggravassero la crisi. E invece no: per sfuggire alle responsabilità - ma continuare a lavorare sulle liberalizzazioni - hanno messo in piedi un non-vertice, che con una non-dichiarazione fa continuare le trattative nonostante l'opposizione frontale di Africa e Paesi poveri. Oggi, a Copenhagen, si sono nascosti dietro un pugno di dollari. «E' tutta una tattica - commenta amaro il presidente del Senegal in plenaria - si fanno dimenticare le vecchie promesse con quelle nuove. Ho partecipato a molti G8 e se sommo tutti i soldi che ho sentito promettere, fanno più dei 200 miliardi di dollari che stanno promettendo qui. Ma non sono mai arrivati!». Un prezzo di sangue per l'Africa: responsabile del 4% delle emissioni globali, pagherà i costi umani più alti pur continuando a ripulire l'aria e a sfamare il pianeta con le sue foreste e l'agricoltura familiare. E' un vero Olocausto e chi lo nega ne è complice.
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