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Quanto sostenuto dalle colonne del Corriere dell’Umbria dall’autorevole esponente del Pd Fabrizio Bracco nell’articolo “Il partito democratico e la sinistra in Italia” (18-2-08) contiene alcuni elementi condivisibili, come l’idea che il Pd sia in competizione con il centrodestra sul versante dell’effettiva realizzazione della modernizzazione nel nostro paese in termini di costruzione di un mercato veramente libero e aperto – cioè dal lato dell’impresa e della sua logica come elemento regolatore della società – e con la Sinistra arcobaleno sul versante della costruzione di una società più giusta e nella rappresentanza del mondo dei lavori. Altri meno condivisibili, come l’idea che il Partito democratico rappresenti ancora una visione della società riconducibile alla sinistra, e non un riformismo che guarda sempre più al centro, visto che abbandona un concreto riferimento ai soggetti sociali più deboli e mette nel cassetto l’idea di trasformazione della società, così come è organizzata dalla globalizzazione neoliberista. Dunque, partiamo da ciò che ci vede d’accordo nell’analisi di Bracco. È finito il rigido bipolarismo imposto dalle riforme della seconda repubblica, che prevedeva maggioranze coatte, buone per vincere ma non per governare, e trasformismo endemico. È finito, perché ha fallito, sia quando al governo c’è stato Berlusconi, sia quando c’è stato Prodi. Nel 2006 l’unità del centrosinistra si è fondata su una domanda fondamentale che veniva forte dal paese, cacciare Berlusconi, ma non è riuscita ad essere nulla di diverso di un cartello elettorale. Oggi la domanda è come si cambia il Paese, per questo è vero che tra Sinistra arcobaleno e Pd la campagna elettorale sarà una sfida tra chi ha la risposta più riformatrice alla crisi del Paese. Detto questo, ci sono i punti di disaccordo. Innanzitutto, stentiamo a vedere i grandi elementi di novità di cui sarebbe portatore il Partito democratico. Siamo d’accordo con quanto sostiene un lucido osservatore, Luca Ricolfi, che in un suo articolo sulla Stampa (18-2-08, “Elezioni e promesse dei leader”) indica come sia probabile che le promesse di Berlusconi e Veltroni nei loro programmi finiscano per essere del tutto affini, ed il punto sta nelle garanzie che possono offrire per mantenere le loro promesse. A vedere i 12 punti del programma di Veltroni, si capisce perché Bonaiuti, Bondi e compagnia accusino il Pd di aver presentato una fotocopia del programma di Berlusconi. Inoltre, anche la grande novità annunciata il giorno dopo lo scioglimento delle Camere – il “correremo da soli” – è di fatto smentita dalla alleanza stretta con l’Italia dei valori e dalla probabile alleanza con i Radicali. Ma questo gran parlare di “nuovo”, “novità” e “innovazione"serve solo a evitare la elaborazione del lutto della caduta di Prodi: per quale ragione è caduto il governo? Come Sinistra arcobaleno abbiamo ben chiaro che non si è realizzato il progetto – con cui ci eravamo presentati agli elettori, tra l’altro – di costituire un governo nuovo, riformatore, capace di rappresentare una drastica alternativa a Berlusconi e di stabilire un rapporto profondo con la società e con i movimenti, a partire dai grandi temi della disuguaglianza, del lavoro, dei diritti delle persone. Qui ha fallito Prodi e l’ambizioso progetto dell’Unione. E i motivi principali vanno ricercati nella strenua volontà del Pd, dal suo concepimento, di mettere nel cassetto il programma dell’Unione, di non cancellare le leggi vergogna del governo Berlusconi (come dichiarato agli elettori), di non operare una redistribuzione del reddito verso i soggetti sociali più deboli e i lavoratori, ma di tenere a posto i conti così come dettato dai parametri di Maastricht. Di fronte alle sfide della globalizzazione neoliberista Bracco, e con lui il Pd, propongono un riformismo debole, molto simile alle ricette di Blair e del Partito democratico statunitense, in cui il mercato e la logica dell’impresa sono gli elementi di regolazione della società, si punta ad uno stato sociale minimo e a interventi caritatevoli per i soggetti sociali più deboli, si vogliono mitigare solo gli effetti più devastanti d un capitalismo totalizzante che impone all’intero pianeta il liberismo selvaggio e la mercificazione di ogni cosa, dal dna alla vita umana. Per questo la Sinistra è in forte competizione con il Pd, pur avendo lo stesso obiettivo di battere le destre. A Veltroni che propone mille euro al mese per i co.co.co e co.co.pro, rispondiamo che non è così che si combatte la precarietà, ma lo si fa cancellando la legge Biagi, introducendo il salario sociale e ponendo il rapporto di lavoro a tempo indeterminato al centro del mercato del lavoro, stabilizzando i precari, dandogli la certezza di un lavoro, con tutti i suoi diritti, e non l’elemosina. Abbiamo in mente un modello di società in cui il centro non è l’impresa, ma il lavoro, le lavoratrici e i lavoratori che in 30 anni sono stati uno dei protagonisti della produzione della ricchezza, ma non ne hanno visto i benefici. Lo dicono tutti, perfino la Banca d’Italia, che i salari e le pensioni sono rimaste indietro. La nostra proposta guarda all’alternativa al neoliberismo, vuole ristabilire il primato della politica e della società sull’economia, adottare la democrazia partecipata, difendere i beni comuni e proporre un’idea ambientalmente sostenibile dello sviluppo. Per capirci, abbiamo come referente sociale concreto quel milione di persone, di tutte le età, uomini e donne, che il 20 ottobre scorso sono scesi in piazza contro la precarietà e per il cambiamento sociale. Non mettiamo insieme Colaninno e l’operaio sopravvissuto del rogo della Thyssen. Vogliamo parlare a quelle famiglie, e sono tante purtroppo, che non arrivano alla fine del mese, perché i salari non crescono, perché la casa costa troppo, che si indebitano perché hanno in casa anziani non autosufficienti o perché sono alte le spese odontoiatriche. Problemi concreti della gente, a cui non ha saputo parlare Prodi, decidendo di non redistribuire il Tesoretto. La precarietà, dunque, si combatte realmente eliminando le cause dell’indebitamento, allargando i diritti sociali e ristabilendo un equilibrio nel rapporto tra lavoro, impresa e società, profondamente squilibrato verso quest’ultima. Per questi motivi, e non per vecchie semplificazioni, diciamo che siamo la sinistra e il Pd, con l’idea di società che propone, si è spostato al centro. E che siamo in competizione su quale ide a di Paese proponiamo. Infine, un’ultima osservazione. Non si può pensare che queste differenze programmatiche e di prospettiva non abbiano ricadute a livello locale, nelle alleanze di governo locale. Perché nel mondo attuale globale è locale, e viceversa, e se la sinistra recupera una sua autonomia dal centro a livello nazionale lo può fare anche nei territori. In Umbria governa quasi dappertutto l’Unione, ma a livello nazionale è un progetto accantonato. Questa alleanza l’abbiamo fatta con Ds e Margherita, due forze politiche con identità definite, una di sinistra moderata, l’altra di centro. Ora ci confrontiamo con il Pd, una forza politica equidistante tra impresa e lavoro, che guarda agli Usa, più che al modello sociale europeo. È evidente che molto può cambiare anche a livello locale, e non si può dare nulla per scontato. Ci auguriamo che si riesca a costruire una nuova alleanza tra il centro e la sinistra, su basi nuove, e che il Pd abbandoni l’idea di poter essere autosufficiente, altrimenti l’effetto Todi potrebbe incombere anche per altri territori. Condividi