patrick.jpg
"Venni trascinato via così com'ero, solo con una T shirt, trattato come il peggiore dei criminali davanti a mia moglie e mio figlio. Pochi minuti dopo eccomi sbattuto in carcere. Tre giorni di seguito in una gelida cella d'isolamento, senza lenzuola: si pensa che possano servire al detenuto per impiccarsi e in quelle condizioni non è davvero difficile pensare al suicidio". A rievocare i momenti del suo arresto, avvenuto a Perugia il 6 novembre scorso per l'omicidio della studentessa inglese, è Patrick Lumumba che affida i suoi ricordi in esclusiva al settimanale "Gente", in edicola da domani e che con un comunicato fornisce una sintesi dell'intervista. Per il settimanale, l'uomo, che è ancora formalmente indagato, ha aperto in esclusiva anche le porte del suo locale il giorno della festa per la riapertura. Lumumba, accusato dell'omicidio di Meredith Kercher insieme con Amanda Knox e Raffaele Sollecito, fu scarcerato due settimane dopo l'arresto. Ad accusarlo fu proprio Amanda. "La disperazione mi ha persino portato a pensare di incontrarla in sogno", rivela Lumumba, "per poterle chiedere perché avesse accusato un innocente. Però deve rendere conto alla giustizia di quello che ha fatto". "Quando verrà il momento incaricherò i miei legali di farle causa per il risarcimento dei danni, che sono stati enormi". Di Meredith, la ragazza assassinata, Patrick dice: "La conoscevo poco, è venuta un paio di volte nel mio pub. Era allegra, sorridente, anche elegante. Una volta l'ho accompagnata a casa e l'ultima l'ho vista in discoteca. Ma non riesco a darmi pace per lei". Condividi