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di Eugenio Pierucci Presto sapremo che area tira per la Merloni. Sapremo se ci sono speranze concrete perché negli stabilimento sparsi fra Umbria, Marche ed Emilia si possa per davvero riprendere a lavorare in maniera continuativa e non a singhiozzo, come accade adesso con i 600 che sono rientrati in fabbrica per un mese di produzione, quanto basta per soddisfare le scarse commesse che sono arrivate. Poi chissà quando ancora. Lo scorso 2 marzo si è chiuso infatti il bando per le manifestazioni di interesse a rilevare, in toto o in parte, il grande gruppo di elettrodomestici che impiega in tutto oltre 7 mila lavoratori, e le prime notizie che sono trapelate dicono che ci sono state delle risposte da parte sia di aziende italiane che straniere interessare a mettere le mani su singole parti dell’azienda, ma ce ne sarebbe anche una che avrebbe dimostrato interesse a prendere tutto. Ora l’intero pacchetto è all’esame dei commissari che dallo scorso 14 ottobre si sono assunti la responsabilità di guidare l’azienda posta in amministrazione controllata: spetterà loro valutare l’affidabilità di ogni singola offerta, i requisiti di chi si è fatto avanti e, se qualcuna di queste offerte sarà giudicata valida allora spetterà sempre loro avviare le procedure per la vendita, purché il ministero dello Sviluppo Economico sia d’accordo. Assai appetibile, naturalmente, il grande stabilimento ucraino di lavatrici per le sue elevate capacità produttive, come pure il marchio Asko che, grazie ai suoi impianti in Svezia e Finlandia, è fortemente radicato nel Nord Europa, ma non mancherebbero estimatori anche per gli impianti nazionali, come la Tecnogas (cucine), la fabbrica di Gaifana e le due di Fabriano. E sono naturalmente queste ultime a preoccupare i sindacati e le istituzioni locali che pensano in particolare ai 3 mila lavoratori che rischiano il posto e che, se trasformati in disoccupati, metterebbero in ginocchio l’economia di un intero comprensorio che praticamente vive solo di Merloni. Perciò la parola d’ordine largamente condivisa è “salvare il massimo possibile”. Questa la ragione prima della grande manifestazione che i Umbria è stata convocata da Cgil, Cisl e Uil per domenica prossima, 15 marzo, a Gualdo Tadino, dove è annunciata la partecipazione persino dei vescovi del territorio che avvertono anche loro la drammaticità della situazione. Una manifestazione per sollecitare anche, in attesa di un’uscita dalla crisi che ci si augura non troppo lontana, misure concrete a sostegno dei redditi dei lavoratori che sin qui sono stati supportati esclusivamente dagli enti locali e in particolare dalla Provincia di Perugia, che ha anticipato loro una cassa integrazione che tarda a venite. Illuminante al riguardo la protesta di qualche giorno fa degli operai di Fabriano che, sia pure a pochi chilometri di distanza, trovandosi nelle Marche, non hanno goduto di altrettanta attenzione ed hanno vivacemente detto basta ai ritardi nel pagamento della cig. Altra urgenza da risolvere è quella del credito: malgrado le garanzie assicurate loro per legge in relazione alla proclamazione dello stato di crisi, le banche continuano a fare orecchie da mercante lesinando al massimo il loro impegno. Anche in questo caso si procederebbe a singhiozzo nella concessione delle linee di credito che sono invece necessarissime per tirare avanti, tanto che i sindacati si sono visti costretti a reclamare un intervento da parte del ministro Scajola. In ballo ci sono non solo i posti di lavoro dei dipendenti Merloni, ma anche quelli degli oltre 4 mila che lavorano nelle fabbriche dell’indotto. Condividi