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Dopo 15 anni di continua crescita economica e sociale, il mondo a metà del 2008 è andato incontro ad un devastante crollo finanziario e industriale e alla prima vera recessione globale dalla fine della seconda guerra mondiale. Negli anni floridi per lo sviluppo e l’economia mondiale, l’Italia non ha però risolto nessuno dei suoi problemi strutturali: il divario tra Nord e Sud, il dilagare del potere mafioso, il debito pubblico hanno continuato a segnare l’immagine di un paese in costante declino. Eppure non mancano le performance positive, le eccellenze e le opportunità su cui il Paese può scommettere. A partire dal settore – problematico e controverso – dei rifiuti, metafora ideale dei problemi e delle politiche italiane analizzato soprattutto in chiave positiva, per valorizzare le esperienze virtuose nelle quali innovazione e design, riciclo industriale e valorizzazione energetica hanno saputo costruire pezzi significativi dell’economia e dello sviluppo. E’ questa la fotografia scattata da Ambiente Italia 2009 - Rifiuti made in Italy, l’annuale rapporto di Legambiente sullo stato di salute dell’ambiente in Italia, edito da Edizioni Ambiente (283 pg, 22 euro), dedicato quest’anno a uno dei temi più controversi e discussi degli ultimi vent’anni, con l’obiettivo di tracciare la strada per un new deal ecologico fondato sulla buona gestione dei rifiuti. A presentare Ambiente Italia 2009 questa mattina a Roma erano presenti Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di Legambiente, Duccio Bianchi della direzione di Ambiente Italia e Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente. “I dati di Ambiente Italia 2009 sono il giusto strumento per capire in quali settori intervenire per intraprendere il green new deal globale da cui l’Italia non può e non deve rimanere esclusa - ha dichiarato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza –. Un aiuto in questo senso può venire dalle politiche per il contrasto del cambiamento climatico che dovranno attivare un sistema di incentivi e penalizzazioni e ripensare la politica fiscale, in modo da spostare la tassazione dal lavoro al consumo di risorse preziose come quelle ambientali. Piuttosto che investire in grandi opere e intervenire per consolidare ulteriormente il potere e il monopolio di pochi grandi gruppi industriali, è necessario cambiare obiettivi: promuovere innovazione e ricerca, investire in manutenzione del suolo, favorire il riciclaggio dei rifiuti e la raccolta differenziata, per poter valorizzare tutto quel tessuto di piccole e medie imprese che caratterizzano la parte migliore dell’economia e dello sviluppo del Paese”. Molti indicatori confermano questa situazione, a partire da quelli sociali, con l’aumento della disuguaglianza interna (nel 2000 il 20% della popolazione più ricca guadagnava 4,8 volte quello che guadagnava il 20% più povero, nel 2006 la percentuale è salita al 5,6), il calo degli investimenti in istruzione e cultura, la frequenza scolastica ben sotto la media europea e la distanza con gli altri paesi nella ricerca scientifica. Dal punto di vista più strettamente ambientale, il vero punto dolente rimane la mobilità: sia gli spostamenti personali che quelli delle merci, si svolgono in larga parte su strada (74% del totale per il trasporto delle merci). Il trasporto pubblico segna una ripresa insignificante rispetto agli altri paesi europei e se pure sono aumentate le piste ciclabili, non ci sono stati passi avanti rispetto al loro uso negli spostamenti quotidiani necessari ma solo per l’aspetto ludico. Il parco veicolare si mantiene spropositatamente elevato ma – grazie all’efficacia della fiscalità ambientale e quindi all’alta tassazione sui carburanti – il nostro paese si conferma, insieme alla Francia, quello col parco auto a minor emissione di Co2 (146 g/km contro una media europea di 158), ma nelle città polveri sottili e ossidi di azoto restano due emergenze per la qualità dell’aria. Nel 2007, nel 70% circa dei Comuni capoluogo, in almeno una centralina di monitoraggio la media annuale del biossido di azoto ha superato il valore limite (40 μg/m3), mentre nelle grandi città solo in un caso su tredici si ha un valore medio di tutte le centraline inferiore al limite. Nello stesso anno, il 65% di tutte le stazioni di monitoraggio ha registrato il superamento del valore limite giornaliero del PM10 (50microgrammi/metro cubo per non oltre 35 giorni all’anno), con una situazione eccezionalmente critica nelle regioni padane e a Roma (oltre l’80% dei casi in Emilia, Lombardia, Piemonte e Lazio). Calano, per la prima volta, le emissioni di gas climalteranti (del -1,7%), ma non grazie alle politiche messe in campo quanto piuttosto al casuale effetto della combinazione tra bassa crescita economica e alte temperature invernali che determinano minori consumi energetici per usi civili. Con 570 milioni di tonnellate di C02 equivalente, l’Italia è comunque il terzo paese europeo per emissioni (era il quinto nel 1990) ed è ancora il 17,5% sopra l’obiettivo che dovrà essere raggiunto al 2012. Nel 2007 è proseguita anche la contrazione del gettito da tassazione ambientale (in rapporto al Pil, l’Italia mostra la massima riduzione in tutta l’Unione Europea), che ad oggi rappresenta lo strumento più efficace nell’indirizzare scelte e comportamenti. Nel 2007 la fiscalità ambientale (accise petrolifere, tasse automobilistiche, imposte rifiuti ecc), ha raggiunto il minimo storico degli ultimi trenta anni in rapporto alle entrate tributarie (8,9% sul totale di tasse dirette, indirette e in conto capitale), il minimo degli ultimi venticinque anni in rapporto alla pressione fiscale (6,1% sul totale di entrate tributarie e contributi sociali), il minimo degli ultimi venti anni in rapporto al Pil (2,7%). In positivo, l’Italia è diventata leader europeo per numero di licenze di prodotti con marchio ecolabel (31% sul totale Europeo) e grande è stato anche il successo dei sistemi di gestione ambientale (13.132 siti certificati Iso 14001 nel 2008). Cresce ancora l’agricoltura biologica (1.150.253 ettari in conversione e convertiti nel 2007, erano 70.674 nel 1994), dove si registra anche un forte sviluppo nel settore degli allevamenti biologici e spicca per riuscita il settore della ricettività diffusa (dal 19% del 2000 al 23% del 2007), dei bed & breakfast e degli agriturismi, legata alle risorse naturali e fatta del recupero degli insediamenti esistenti. “C’è ancora molto da fare – ha dichiarato Duccio Bianchi dell’Istituto di ricerche Ambiente Italia – per vincere la sfida della sostenibilità e due sono i settori che offrono le maggiori opportunità anche occupazionali ed economiche, sviluppando le caratteristiche tipiche del Paese: l’edilizia, promuovendo un’industria e i servizi incentrati sull’efficienza energetica degli immobili, e la mobilità, sfruttando tutte le opzioni della obbligatoria conversione ambientale attraverso la produzione innovativa di veicoli privati, di trasporto pubblico di massa, di nuove infrastrutture per la mobilità sostenibile”. E i rifiuti? Davvero possono rappresentare la metafora delle politiche ambientali italiane? Secondo Ambiente Italia 2009, la risposta è si. Ecco gli estremi della vicenda: l’emergenza rifiuti non è ancora risolta, soprattutto nel Centro Sud. Il 54% dei rifiuti urbani in Italia viene ancora smaltito in discarica, con il record della Sicilia che raggiunge la percentuale del 94%. Negli ultimi 15 anni 5 regioni - Calabria, Campania, Lazio, Puglia e Sicilia - sono state commissariate per l’emergenza rifiuti, costata agli italiani circa 1,8 miliardi di euro, senza aver ottenuto alcun risultato tangibile. Clamoroso il ritardo impiantistico nel meridione d’Italia dove è attivo addirittura il 47% delle discariche di tutto il Paese, solo il 14% degli impianti di compostaggio di qualità e il 28% degli impianti per il trattamento meccanico biologico. Altre due emergenze riguardano invece tutto lo Stivale: l’aumento della produzione nazionale dei rifiuti urbani (+12% dal 2000 al 2006, nonostante esistano esperienze europee dove la prevenzione è stata praticata con successo come in Germania, Regno Unito, Belgio e Svezia) e il fenomeno degli smaltimenti illeciti di quelli speciali (nel 2005 ne sono scomparsi nel nulla 19,7 milioni di tonnellate, formando un’immaginaria montagna con base di 3 ettari e alta 1.970 metri e alimentando un business illegale annuo di circa 4,5 miliardi di euro). Eppure, esiste anche un’Italia di qualità nella gestione dei rifiuti: sono infatti sempre più numerose le buone pratiche. Sono 1.081 i comuni ricicloni nazionali premiati da Legambiente per aver superato nel 2007 l’obiettivo di legge del 40% di raccolta differenziata. Le regioni più all’avanguardia sono quelle del Nord - Trentino Alto Adige e Veneto hanno sfiorato il 50% di differenziata nel 2006, mentre Lombardia e Piemonte hanno superato la soglia del 40% -. Non mancano le sorprese nel resto d’Italia, come l’importante l’exploit della Sardegna che è passata dal 3% nel 2002 al 38% nel dicembre 2008, i 118 comuni campani con percentuali di raccolta differenziata superiore al 40% o l’esperienza del comune di Salerno che raggiunge l’80% nei quartieri serviti dal porta a porta per oltre 100mila abitanti. Sono 130 le esperienze concrete sulla prevenzione avviate in tutta Italia da enti locali, gestori del servizio di igiene urbana e privati, censite dalla banca dati di Federambiente, mentre sono attivi da anni efficienti consorzi per il recupero dei rifiuti, che hanno raggiunto in anticipo gli obiettivi previsti dalla direttiva europea sugli imballaggi, producono 1,2 milioni di tonnellate di compost di qualità interamente assorbiti dal mercato, e hanno superato la percentuale record del 90% di raccolta differenziata nel caso di batterie esauste e oli usati. “L’emergenza rifiuti non è una condanna definitiva per l’Italia – ha dichiarato Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente – e se ne può uscire, imboccando la strada della gestione sostenibile, come dimostrano gli esempi storici delle regioni del nord Italia e quello più recente della Sardegna. Per concretizzare questo scenario in tutta Italia, occorre definire al meglio le regole del gioco a livello centrale e locale, replicare le best practices sulla raccolta differenziata e sulla prevenzione già attuate nel nostro Paese e, parallelamente, costruire tanti impianti per il recupero e il trattamento dei rifiuti. Solo così la discarica diventerà davvero l’opzione ultima per smaltire le quantità residuali di rifiuti, come ci chiede l’Europa”. Sono 10 le proposte di Legambiente per risolvere concretamente e con positivi risvolti sul piano economico ed occupazionale il problema dell’emergenza rifiuti, a partire dall’aumento del costo dello smaltimento in discarica, fondamentale per rendere convenienti le ipotesi alternative, e dalla necessità di diffondere le raccolte differenziate domiciliari in tutti i comuni italiani, incentivando l’abbandono del sistema a cassonetti stradali, oltre a favorire la qualità delle raccolte differenziate per facilitare il successivo riciclaggio. Bisogna poi completare la rete impiantistica per il recupero e il trattamento dei rifiuti, garantendo la trasparenza e la partecipazione dei cittadini e rivedere il sistema di premialità/penalità - rendendo la discarica l’opzione più costosa e il riciclaggio e la prevenzione quelle più economiche - e cancellare il Cip6; necessario poi promuovere la diffusione delle buone pratiche locali sulla prevenzione e avviare la redazione del programma nazionale di prevenzione (come previsto dalla nuova direttiva europea). Al Governo chiediamo di garantire la certezza normativa, a partire dal passaggio tassa/tariffa, senza ulteriori proroghe e slittamenti; di chiudere la stagione dei commissariamenti per l’emergenza rifiuti nel Centro Sud, che ha portato solo sperpero di risorse pubbliche e deresponsabilizzazione degli enti locali inadempienti, e di introdurre finalmente i delitti ambientali nel codice penale, con l’istituzione di un fondo per le bonifiche dei siti orfani. Condividi