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Torneranno a parlare e a commentare ancora. Con la presunzione di essere altrettanto autorevoli. Come se nulla fosse successo. Come se quei pronostici avventati e inconsistenti fossero stati tutti azzeccati. Come se l’affidabilità dei lettori prescindesse dalla capacità di azzeccarci nell’analisi. Rivedremo i Panebianco di turno, i Mieli, i Mauro i Sartori ed i grandi commentatori politici ritornare alla ribalta come se nessuno si fosse accorto dei loro pronostici fondati sul nulla e sistematicamente smentiti dai fatti. E non che sia colpa dei giornalisti che un governo cada, no. Ma il loro compito di guardiani attenti, il loro ruolo di informatori reali e privilegiati sui fatti che fine ha fatto? Sembrano inaffidabili propiziatori di sventura che sgomitano a chi la spara più grossa, per far finta poi di non accorgersi di aver spiattellato una gaffe dietro l’altra. Ma non doveva essere la sinistra massimalista ad andarsi a scontrare, come un camicaze, sulla maggioranza di governo per siglarne nuovamente la fine? Abbiamo sentito male oppure i noti opinion makers del grande pubblico hanno riempito pagine e pagine di giornali, nastri e nastri di video notiziari sulla imminente fine del Prodi due a causa della sinistra radicale? Eppure mai un solo commento sul capolinea di Prodi per un fatto puramente personale. Mai l’ipotesi di una spallata che arriva sull’onda di una “persecuzione giudiziaria”. Solo analisti matematici che, con calcolatrice alla mano, addirittura negli ultimi giorni hanno studiato le mosse politiche in divenire presagendo l’impossibilità della fine dell’esecutivo, sostenuta dal fatto che il referendum elettorale prima, e la conseguente legge elettorale poi, avrebbero fatto galleggiare il governo fino ad almeno un altro anno e mezzo. Mai uno che presagisse il momento della debacle, dovuta ad una emozione familiare, ad una commozione sentimentale, ad un fatto di intima solidarietà passionale, quella di un marito che pur di cavalcare “l’ingiustizia” di un arresto domiciliare notificato alla propria moglie (tra l’altro presidente del consiglio regionale della Campania), dilata a dismisura un simile fenomeno come se appartenesse ad un Paese intero. Così ha battezzato la propria crisi il super ministro della giustizia Clemente Mastella, che ha voluto evidenziare il fatto che gli attacchi della magistratura alla propria famiglia sono semplicemente il segno evidente di una condizione esistenziale che attraversa migliaia e migliaia di famiglie di questo paese. E così un governo va giù. Come a dire che una piccola famiglia del sud vale più che le fiumane di cittadini in piazza contro la riforma del welfare, contro il ritardo sistematico del rinnovo dei contratti del lavoro, contro la precarietà, contro la crisi economica che investe anziani e giovani, contro una profonda e progressiva perdita di terreno delle garanzie di futuro che investe una intera generazione di questa benedetto Paese. Eppure un freno a quelle che parevano essere motivate ragioni di bocciatura di un governo, qualcuno è stato in grado di tirarlo. Eppure, nonostante la presenza di ministri nelle piazze, quel governo, in perpetua sospensione, a morsichi e bocconi, riusciva a rimediare e ad andare avanti puntando al risanamento dei bilanci dello stato, alla riduzione del debito pubblico, all’attacco all’evasione fiscale e agli interventi di petto contro le emergenze, come quella napoletana. I noti giornalisti dalle penne sottili che stavano ad attendere che il cadavere passasse sotto le proprie finestre, hanno sbagliato i tempi. Il cadavere passa, ma le finestre restano chiuse, come se nessuno fosse lesto ad attenderlo. Gli opinionisti in attesa di quel rinnovo del contratto si son fatti sorprendere dallo stordimento da fuso orario. Hanno spostato le lancette del proprio orologio o troppo in avanti o troppo indietro, senza azzeccare l’orario giusto del funerale del Governo. E questo nonostante dal fronte dell’esecutivo veniva reso noto che si sarebbero aspettati la spallata di Mastella, da un momento all’altro. Chi conosce l’emotività antropologica e la bizzarria di quel meridione sempre pronto a risollevarsi anche dalle ceneri, può probabilmente meglio intendere quanto valga la protezione di un marito rispetto ad una moglie attaccata. Può forse meglio interpretare la pericolosa solitudine che investe chi non si sente raggiunto da attestati di solidarietà tanto chiari quanto sfrontati, che sarebbero dovuti sopraggiungere – secondo quanto palesemente richiesto dall’Udeur - ad un alleato, sia pur scomodo. Soprattutto quando dietro ad un simile impeto emotivo ci sono le ragioni di una chiesa (amica) che si vede e si sente smarcata da questo esecutivo, di organi ecclesiastici potenti che non lascerebbero cadere nel vuoto il rifiuto espresso al papa ad un appuntamento laico, come quello dell’inaugurazione dell’anno accademico all’università romana. Soprattutto quando dietro ad una crisi personale e di rapporti con i propri alleati c’è l’incalzante potere di Confindustria e di tanti che contano. Ma in molti si chiedono cosa mai succederà adesso. Che dire allora…che ci siamo dimenticati dell’italietta senza faccia che pare non accorgersi della figuraccia che fa con il mondo intero quando le borse vanno giù, la sfiducia cresce come la mondezza napoletana, il potere di acquisto dei salari irrimediabilmente tracolla, le famiglie non vogliono saperne niente di sermoni politicizzanti e di slogan populistici ed elettorali, quando non sembra esserci alternativa al galleggiamento. Governo tecnico si, governo tecnico no. Questa la cantilena di queste ore. Oppure qualche variazione melodica, tipo mercato calcistico, di quanti immaginano di traghettare qualcuno dal fronte opposto, o addirittura dall’Udeur stesso, come un revival da ribaltone al contrario. O ancora le note stonate di chi sostiene di andare avanti solo con la maggioranza della Camera. Di chi, tentando di recuperare un minimo di dignità – che in casa nostra non paga elettoralmente – chiede, come gesto di estrema ratio, di recarsi dal presidente della Repubblica ed affidare a lui la patata bollente. Intanto la bomba di ieri ha riverberi anche nel fronte opposto. Quello fino ad ieri smembrato e, di colpo, apparentemente recuperato, con l’urlo di Fini che dice: unità immediata attorno alla leadership di Berlusconi. Vengono in mente le frasi storiche di Andreotti che ricordava: il potere logora chi non ce l’ha. Si ritornerà al ballo in maschera, che nasconda i volti dei danzatori senza vergogna che come avvoltoi si fiondano a celebrare la crisi di un Paese, più che di un governo. Tanto su quelle macerie ci saranno poltrone più comode di quelle attuali su cui accomodarsi e fare accomodare i propri amici, proprio come negli ultimi 20 anni ci hanno tutti abituati. Bene, sarà l’ennesimo trionfo del qualunquismo, l’isterico delirio di chi ha perso la fiducia in una classe dirigente che fa acqua da tutte le parti, l’incauto affondo di chi già vede i quadri di partito pronti ad escogitare nuove strategie, nuovi piani programmatici, nuove frasi retoriche da diffondere dagli altoparlanti proiettati sulle masse presumibilmente inconsapevoli che dovrebbero accogliere l’ennesima proposta risolutiva per le sorti di questo Paese. Lo stesso che continuerà a mettere al timone della propria barcaccia i soliti timonieri senza bussola. Già si sentono le tastiere delle redazioni battere i prossimi editoriali altisonanti che da un lato annunciano l’ulteriore fallimento di un Paese intero e dall’altro, nascostamente, inneggiano per qualche copia in più venduta in un momento di forte attenzione sociale. Alla faccia di quanti da tutto questo bailamme - espresso in particolar modo dall’ipotesi di un governo tecnico che si poggia sulle spalle delle famiglie in crisi, per tenere ancora in piedi un palazzaccio decadente – non possono che cavare ulteriore incertezza, sfiducia e addirittura paura per le proprie sorti. Condividi