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di Gianfilippo Della Croce C’è chi nell’attuale “notte della politica” che sta vivendo il nostro paese pare aver scoperto sorprendenti semplificazioni, cioè quello che si ritiene essere uno dei mali della politica nostrana si dice essere la sua struttura complicata, il suo bizantinismo, dove bizantinismo deriva da Bisanzio (o Costantinopoli), capitale dell’impero romano d’oriente, una città nella quale la politica seguiva percorsi cervellotici e inusuali, nonché originali, per approdare nella maggior parte dei casi al nulla. Fare del bizantinismo significa quindi fare magari iperbolici esercizi dialettici che fanno perdere tempo, per non arrivare a quella concretezza che invece nell’accezione occidentale della politica dovrebbe esserne il sale. Ma come dicevamo c’è chi ha scoperto come semplificare le cose, perché è vero che la politica in Italia ha bisogno di essere più semplice, cioè capace di essere capita e interpretata da tutti i cittadini, la sua complicatezza attuale del resto giustifica la “casta”. Ma torniamo a costoro che hanno scoperto come si semplifica la politica e la si rende così semplice che più semplice non si può, come? Con la politica della chiave. Che cos’è la politica della chiave? E’ quell’atteggiamento “semplice” che consiste nel non dare la chiave della federazione del partito a chi non la pensa come chi ha in mano in quel momento la chiave stessa. Cioè: la federazione è di tutti (gli iscritti al partito), ma è soprattutto di chi ne possiede la chiave, una mirabile semplificazione del concetto di democrazia interna ai partiti. Così a chi non la pensa come i possessori della chiave non resta che trovarsi un altro posto per discutere e se non lo trovano tanto peggio per loro. Viene immediatamente da pensare che la “politica della chiave” serve a semplificare così tanto la politica da renderla assolutamente invisibile, detto in altre parole la politica della chiave non è nemmeno più politica, è soltanto un sopruso perpetrato da chi non avendo più nulla di politico da dire vuole evitare discussioni, confronti, dibattiti, cioè tutte cose fastidiosamente complicate. E’ preoccupante che ciò accada a sinistra, dove in alcune aree culturali, l’invenzione della “politica della chiave” viene salutata come ciò di cui si sentiva il bisogno, per affermare in modo assolutamente non democratico la propria esistenza a dispetto dei diritti e dei valori della democrazia, ai quali del resto per molto tempo ci si è dichiarati fedeli paladini. A questo punto è tutto chiaro: la “politica della chiave” è la politica dei disperati. Condividi