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di Fausto Bertinotti Posso dirlo con un'espressione «impolitica»? Per la sinistra, sarebbe meglio che le elezioni europee non ci fossero. Capita di rado di fare affermazioni di tal fatta - ma questa volta è così. Purtroppo, invece, le elezioni ci sono: a scadenza ravvicinata, e sulla base di una nuova legge elettorale molto costrittiva. Questi due fatti, specie il secondo, vanno accelerando il confronto politico a sinistra in termini «impropri» e preoccupanti, cioè a partire da una fortissima pressione esterna, e proprio nella fase in cui la crisi dell'intero campo dell'alternativa resta massimamente acuta. Se l'esito fosse quello oggi più «chiacchierato», cioè non solo la divisione delle sinistre radicali, ma una divisione in formazioni elettorali che prefigurano un nuovo assetto organizzativo, più o meno stabile, e la nascita di più partiti, sarebbe un autentico disastro. Una ulteriore sconfitta politica, e non solo il rischio che, alla fine, la sinistra italiana non abbia in Europa alcuna rappresentanza. Eppure, il contesto europeo, con una cogenza perfino superiore a quello nazionale, esprime un intenso bisogno di sinistra politica. Non v'è chi non veda che la crisi del capitalismo globalizzato è oggi la questione principale della contesa politica - e in ogni luogo del mondo. Che le politiche dei governi europei sono del tutto inadeguate, oltre che lontanissime da modelli riformatori. E che, invece, nel resto del mondo l'America latina, gli Usa di Obama e le grandi realtà orientali offrono risposte assai più interessanti. Così la sinistra appare afasica, anzi muta: il paradosso di una sinistra che ha largamente anticipato la denuncia (e la pratica) critica della globalizzazione, quando se ne celebrava dovunque l'apologia, ma non è capace di prendere parola di fronte alla sua crisi conclamata. Con una ulteriore aggravante: una tale impotenza si manifesta mentre prendono corpo, in diversi Paesi europei, consistenti proteste di massa (gli scioperi generali già avvenuti in Italia e in Francia, quello imminente in Spagna). Accade precipuamente da noi: in Italia, non c'è alcuna opposizione politica degna di questo nome al governo delle destre. E dire che le occasioni per ricostruire la sinistra non mancano: basti pensare al successo, quasi insperato, del Forum di Belem o allo sciopero del 13 febbraio, metalmeccanici e comparto pubblico. Torniamo alle elezioni europee. Se l'impresa della ricostruzione di una sinistra anticapitalistica (che si dà per orizzonte un'altra Europa) ha dunque necessariamente di fronte a sé almeno il medio periodo, e non ammette scorciatoie di sorta ma chiede un surplus di ricerca politica, teorica e culturale, che cosa si può fare rispetto alla scadenza di giugno? A me pare essenziale, intanto, non prendere lucciole per lanterne - non confondere e non sovrapporre i piani. Ciò significa che questo appuntamento elettorale va affrontato, oltre che con grande umiltà, con un obiettivo modesto: la riduzione del danno. L'essenziale, cioè, sarebbe non compiere scelte tali da pregiudicare, seriamente, il processo e il percorso ben più ambiziosi che sono ancora possibili. Non imitare il negativo esempio della Francia, dove prima il referendum sul Trattato costituzionale ha mostrato l'esistenza di una diffusa sinistra europeista e anticapitalistica, e poi le successive presidenziali hanno disperso quasi del tutto questa potenzialità - e la sinistra si è drammaticamente frantumata. E contrastare (o almeno provarsi a contrastare) l'assetto che si preannuncia (si prepara?) del campo non berlusconiano: abitato da un partito moderato e indefinito come il Partito democratico, da una forza neo-populista, come l'Italia dei valori di Di Pietro, nonché da 2, 3 o 4 formazioni di sinistra, in rissa permanente tra di loro, che si disputano la rappresentanza di ciò che resta del popolo di sinistra. Lo ripeto: un quadro come questo sancirebbe la scomparsa, per un periodo lungo, di una politica di sinistra in Italia. In questo quadro, capisco bene le ragioni della proposta di Gabriele Polo e di Marco Revelli - saltare un giro. Ma mi pare che abbia ragione Rossana Rossanda: poiché il voto c'è, la non partecipazione si tramuterebbe giocoforza in spreco e in fattore di frustrazione. Allora, per mettere l'elettore di sinistra nella condizione di poter votare - e per offrire questa stessa possibilità anche a tutti coloro che si affacciano per la prima volta a una prospettiva, sospinti dalla crisi o dalla delusione, l'unica modalità che si può far valere è quella di un cartello elettorale di tutte le forze politiche e di tutte le soggettività aggregate, nessuna esclusa, che si richiamano alla sinistra, all'idea, come dicevamo, di un'altra Europa, all'opposizione. Un'alleanza dichiaratamente elettorale, che «mette insieme» e a disposizione quello che oggi c'è, con forte spirito di servizio. Un «cartello» che, all'opposto della infelice vicenda della «Sinistra Arcobaleno», non si configuri, nient'affatto, come il nucleo di un nuovo, o di nuovi, soggetti politici, ma come uno strumento di salvaguardia della rappresentanza di sinistra in Europa - esperienze, competenze, battaglie preziose (come quella sulla direttiva Bolkenstein). Realizzare questo obiettivo, in un momento in cui le pulsioni distruttive dell'altro e degli altri appaiono prevalere di gran lunga su quelle costruttive e ricostruttive, è certamente molto difficile. Penso però che ci si debba provare fino in fondo e che fino in fondo vadano fatte pesare le ragioni della razionalità politica. Perché, di fronte alle obiezioni sulla natura politicistica e ripetitiva di una tale proposta, non usare anche la «provocazione» della mia amica Rina Gagliardi per una lista unitaria incentrata sulle esperienze significative cresciute fuori dagli ambiti di partito? Quanto agli assi programmatici che potrebbero caratterizzarla, ve ne sono tre che a me paiono «indiscutibili»: un progetto di piena e buona occupazione; un'opzione di intervento pubblico che vada nella direzione di una riforma sociale e ecologica dell'economia; una nuova frontiera di diritti universali e civili. Una prospettiva «modesta» e oggi anche realistica. Troppo poco? Ma chi potrebbe portarla avanti, in Italia e in Europa, se non la sinistra? Una sinistra che, se trovasse la forza e l'umiltà necessarie, potrebbe perfino cominciare a cambiare, non in superficie, anche e soprattutto il suo (il nostro?) modo di essere. Condividi