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da Liberazione (6 febbraio 2009) di Giorgio Cremaschi 500 mila dollari sono un bel mucchio di soldi. Eppure ha suscitato impressione qui da noi il fatto che il presidente degli Stati Uniti abbia posto questo tetto alle retribuzioni dei grandi manager delle aziende che ricevono gli aiuti di stato. In Italia la retribuzione equivalente, dai 350 ai 380 mila euro annui a seconda del cambio, è considerata nelle alte sfere uno stipendio da morti di fame. Prima ancora della crisi, quando Walter Veltroni si dimise da sindaco di Roma, suscitò apprensione una circolare del commissario governativo che gli era succeduto, che chiedeva agli alti dirigenti delle aziende a partecipazione municipale di accettare il tetto di 400 mila euro alle loro retribuzioni. L'ipotesi di fermare le retribuzioni a 500 mila euro è stata considerata un atto demagogico da parte di importanti manager delle banche italiane, prima di tutto dall'amministratore delegato di Unicredit. A sua volta l'amministratore delegato della Fiat ha più volte sottolineato che il merito deve essere premiato e sono dunque giuste le altissime retribuzioni. Che fanno sì che egli riceva annualmente un compenso che vale da tre a quattrocento volte la paga di un operaio di linea. In un libro che ci fa ancora pensar bene del lavoro dei giornalisti, quando davvero viene fatto, Dragoni e Meletti documentano che "la paga dei padroni" è in Italia scandalosamente alta e scandalosamente diffusa. Con retribuzioni dei top manager largamente superiori al tetto attualmente indicato da Obama e, soprattutto, assolutamente estranee a qualsiasi logica di mercato. Sì, perché l'altro aspetto della faccenda è che questi supermanager, che dai loro dipendenti pretendono la flessibilità totale e che impongono che le paghe degli operai e degli impiegati siano legate alla produttività e persino all'andamento della Borsa, per se stessi hanno riservato paghe da nababbi esenti da rischio. Se confrontiamo l'andamento delle paghe dei supermanager con l'andamento reale delle loro aziende, possiamo tranquillamente concludere che il mercato c'è per i poveri e i lavoratori medio-bassi, mentre per gli alti manager c'è il più generoso dei socialismi. Solo così potremmo interpretare il fatto che la retribuzione dell'amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato sia quasi quattro volte il tetto imposto da Obama. Così fan tutte le aziende, pubbliche e private, che vanno bene come male, che fanno debiti o profitti, che licenziano o assumono. Nel mondo calvinista anglosassone con la crisi è esploso il discredito per le super paghe che l'unica casta ancora immune da vera critica, quella dei manager, attribuisce a se stessa. In Gran Bretagna la Camera dei Lord, evidentemente memore delle rivoluzioni che provocano i privilegi sfacciati, sta discutendo una legge che imporrebbe ad ogni manager di rendere pubblico quante volte il suo guadagno annuale moltiplichi la paga più bassa della sua azienda. Già solo il fatto di rendere trasparente che un megadirigente, che magari ha mandato in crisi l'impresa, intasca uno stipendio pari a diverse centinaia dei lavoratori che ha contribuito a mettere sul lastrico, è di per sé considerato educativo. Comprendiamo che in Italia sia più difficile applicare quelli che verrebbero definiti inutili moralismi. Una componente del governo di Obama si è dovuta dimettere perché non pagava i contributi alla colf, con lo stesso criterio in Italia le istituzioni locali e nazionali sarebbero travolte da uno tsunami. Però non possiamo continuare a berci la favola imbrogliona per cui ci sono persone che ne valgono centinaia di altre. Nei vecchi libri del fordismo, quelli di parte padronale, si sosteneva che in un'azienda nessuna retribuzione poteva essere cinque volte superiore a quella minima. Noi accettiamo che oggi si possa essere di manica più larga. Si potrebbe decidere, per tutte le aziende pubbliche o che ricevono aiuti pubblici - cioè in Italia praticamente tutte le imprese medio-grandi - che la retribuzione massima non debba superare di dieci volte quella minima. Sono comunque tanti soldi. Con dieci volte la paga di un operaio si vive molto bene. Agganciare la retribuzione massima a quella minima raggiungerebbe anche un altro scopo. Incentiverebbe i manager a far guadagnare di più tutti i propri dipendenti, magari per ottenere più soldi anche per sé stessi. Sarebbe una sorta di cottimo sociale, che avrebbe significati molto più benefici per la giustizia, la salute e la stessa economia del cottimo integrale legato allo sfruttamento e alla fatica, che si vuole imporre sulle paghe dei lavoratori. Si potrebbero poi decidere incentivi e penalizzazioni sulla paga del manager, a seconda che la sua azienda assuma o licenzi. La nostra è una modesta proposta, e siamo sicuri che a destra e a sinistra troverà pochi consensi. Però quando la buttiamo lì nelle assemblee che preparano lo sciopero del 13, nessuno ci dice che è demagogia. Anzi, da tante e tanti ci viene risposto che è scandalosa demagogia quella di chi vanta meriti inesistenti per giustificare paghe scandalose. P.S. Naturalmente una forte riduzione degli stipendi dei parlamentari ed in generale delle cariche politiche sarebbe un buon incentivo a muoversi in questa direzione A questo proposito alleghiamo la relazione al progetto di legge presentato oggi dal Prc in Consiglio regionale dell’Umbria che ha come obbiettivo il dimezzamento delle indennità dei consiglieri regionali. Relazione illustrativa Con il presente disegno di legge il Partito della Rifondazione comunista intende contribuire a ridurre i costi della rappresentanza politica e a limitare le spese a quelle necessarie, accrescendo, al contempo, la trasparenza e la responsabilità dei rappresentanti del popolo, con la finalità ultima di rafforzare il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni. Misure di contenimento e razionalizzazione della spesa sono state recentemente assunte dallo Stato attraverso specifiche disposizioni del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 (c.d.‘decreto Bersani’) e della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007). In particolare, la legge finanziaria per il 2007 ha previsto, tra l’altro, misure di razionalizzazione e ottimizzazione delle spese e dei costi di funzionamento dei Ministeri; la riduzione del 30 per cento del trattamento economico dei Ministri e dei Sottosegretari; la fissazione di un tetto massimo per la retribuzione di qualsiasi incarico corrisposto dallo Stato, dagli enti pubblici o da società a prevalente partecipazione pubblica non quotate in borsa. La stessa legge finanziaria ha poi disposto il contenimento della spesa pubblica connessa al funzionamento delle istituzioni collocate ad altri livelli territoriali, prevedendo, tra l’altro, un miglioramento dei saldi finanziari dei bilanci regionali pari al 10 per cento rispetto ai saldi dell’anno precedente e la fissazione di un tetto massimo al compenso del presidente e dei componenti dei consigli di amministrazione delle società interamente partecipate da comuni e province, nonché di specifici limiti nel caso di società miste. La Regione Umbria, al pari delle altre, ha il dovere di confrontarsi con la necessità di riconsiderare l'assetto organizzativo dei propri rappresentanti politici presso le Istituzioni locali. Le misure previste dalla proposta di legge si pongono nel solco tracciato da recenti leggi regionali (ad esempio i collegati alle finanziarie regionali), e consistono in strumenti volti a garantire ai cittadini che le risorse pubbliche destinate a Consiglieri e Assessori regionali siano utilizzate con senso della proporzione, rigore ed efficienza. E’ infatti evidente il fenomeno di “scollamento” progressivo tra gli interessi del cittadino e la condizione dei rappresentanti del popolo presso le Istituzioni di ogni livello. Il tema della riduzione dei costi della rappresentanza è particolarmente sentito dall’opinione pubblica e costituisce pertanto il terreno sul quale la politica deve misurarsi per realizzare un’inversione di rotta. Già nel 2007 il Consiglio regionale ha deciso di rivedere al ribasso le spese per le indennità dei Consiglieri regionali. Tuttavia si è trattato di un intervento che, seppur meritorio, non può essere ritenuto sufficiente a fronte dell’attuale situazione economico-finanziaria che sta determinando una diffusa e sempre crescente condizione di impoverimento della popolazione, non solo locale. In questo contesto è assolutamente necessario adeguarsi ai nuovi e preoccupanti scenari economici e sociali. L’adeguamento deve quindi riguardare anche, e dovremmo dire prima di tutto, coloro che, primi attori nell’ambito delle Istituzioni, traggono dalle stesse la propria fonte di sostentamento. Essendo competenza e prerogativa del legislatore regionale stabilire l’entità delle indennità e delle spese di permanenza nella sede regionale da parte dei Consiglieri e degli Assessori, non possiamo non intervenire proponendo un taglio netto allo stipendio dei massimi rappresentanti del popolo a livello regionale. Rifondazione comunista ritiene che la riduzione delle spese della politica non debba essere perseguita con una riduzione del numero dei Consiglieri regionali, la quale risulterebbe peraltro assolutamente fittizia ed elusiva del vero problema: ridurre i costi e recuperare il rapporto di fiducia con la società. Infatti a fianco di una proposta di riduzione del numero dei Consiglieri regionali da 36 a 30 si lascia essenzialmente intatta la possibilità di scegliere da parte del Presidente della Regione fino ad 8 Assessori esterni. Il taglio dei rappresentanti presso l’Assemblea legislativa regionale rappresenta evidentemente soltanto lo strumento per eliminare una piena rappresentanza presso le Istituzioni democratiche di importanti fette della società. E’ infatti evidente come la riduzione del numero dei Consiglieri regionali determinerebbe un accrescimento della rappresentanza delle forze politiche numericamente più forti a scapito di tutte le altre, senza peraltro risultare idonea a garantire un’effettiva riduzione dei costi. La nostra proposta, quindi, mira a dimezzare lo stipendio di Consiglieri e Assessori regionali. Solo così è possibile garantire uno strutturale risparmio di spesa, dando un segno tangibile dell’inversione di rotta che tutti i politici dicono di volere ma, a ben vedere, soltanto a parole. L’articolo 1 della proposta di legge comporta il dimezzamento dell’indennità di carica dei Consiglieri regionali. L’articolo 2 disciplina l’indennità degli Assessori esterni e prevede, come già attualmente in vigore, che gli stessi percepiscano quanto spettante ai Consiglieri. La proposta di legge rappresenta l’occasione per un aggiornamento testuale alla l.r. n. 26/2000 la quale fa ancora riferimento alla vecchia l.r. n. 15/1972, recentemente abrogata dalla l.r. n. 17/2007. L’articolo 3 della proposta di legge modifica l’entità della diaria dei Consiglieri regionali, degli Assessori esterni e dei Presidenti di Consiglio e Giunta, riducendola per tutti e portandola ad un livello tra il 50 ed il 60 percento di quella percepita dai componenti della Camera dei deputati. Con il sistema attuale, invece, i Consiglieri percepiscono il 65 percento della diaria parlamentare, mentre il Presidente del Consiglio regionale, quello della Giunta e gli Assessori percepiscono una diaria che può essere addirittura pari a quella percepita presso le Camere. L’articolo 4 della proposta di legge disciplina la decorrenza dell’indennità, prevedendo che per coloro che sono attualmente in carica l'indennità e la diaria sono rideterminate al ribasso a far data dal primo mese successivo all'entrata in vigore della presente legge. Condividi