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Nell’incontro del 22 gennaio scorso con le forze sociali e imprenditoriali il governo, invece di trattare i provvedimenti anticrisi in una situazione economica, sociale e produttiva fortemente deteriorata con conseguenze dirompenti per le condizioni di vita e di lavoro delle larghe masse giovanili e popolari, ha tirato fuori dal cilindro un "Accordo quadro per la riforma degli assetti contrattuali" precostituito, blindato, immodificabile, chiedendo ai presenti semplicemente l'adesione. Nel campo sindacale si è opposta alla firma la sola Cgil. L’azione del governo si è caratterizzata nel metodo per un’arroganza inaccettabile. Del resto non è una novità: l’obiettivo di Berlusconi resta quello di distruggere l'unità sindacale. Lunga è infatti la sequela di accordi separati: basti pensare al contratto del commercio e del pubblico impiego. Penso, però, che ci troviamo di fronte a un salto di qualità: la volontà è quella di isolare definitivamente la Cgil, esercitando su quest’ultima pressioni enormi attraverso forzature intollerabili. Pesante è il silenzio su questa vicenda da parte del Partito Democratico. Per Rifondazione comunista, invece, l'intesa deve essere contestata e rifiutata. Viene infatti depotenziato il ruolo e la funzione del contratto nazionale; si spostano aumenti contrattuali sul salario variabile per incentivare gli straordinari legando il salario alla produttività; si continua a decantare tutta la retorica possibile sulla contrattazione aziendale, sebbene la stragrande maggioranza dei lavoratori è nell'impossibilità di praticarla; si tenta di cambiare radicalmente la natura del sindacato attraverso l'estensione abnorme degli enti bilaterali. Sugli effetti deleteri dell'intesa rispetto al potere d'acquisto dei lavoratori, ricordo che uno studio dell'Ires-Cgil ha appurato, simulando i meccanismi previsti dall'intesa nel periodo contrattuale 2004-2008, che i lavoratori avrebbero perso in media 1.352 euro, mentre le imprese avrebbero guadagnato complessivamente 15-16 miliardi di euro. Bene, è del tutto evidente il progetto di stampo neocorporativo portato avanti: smantellamento della contrattazione collettiva nazionale, a favore di quella aziendale e territoriale di segno federalista, subordinazione dei salari alla competitività e alla redditività delle imprese, limitazione di fatto del diritto di sciopero. Insomma ancora una volta la crisi dovrebbe essere pagata dai lavoratori. Bene ha fatto la Cgil, il più grande sindacato italiano, a non firmare un accordo che determinerà un’ulteriore riduzione dei salari reali, un peggioramento delle condizioni di lavoro, un approfondimento delle disuguaglianze del paese. Ci sentiamo impegnati da subito a sostenere la richiesta del referendum sindacale sull'accordo e a contribuire alla costruzione di una vera e concreta opposizione all’accordo nei luoghi di lavoro e in tutta la provincia. Per questo sosteniamo convintamente lo sciopero generale indetto da Fp Cgil e Fiom Cgil, contro l'accordo sulla riforma del modello contrattuale e per chiedere un forte investimento su welfare ed ammortizzatori sociali previsto per il 13 febbraio prossimo,. Noi ci saremo. E' in gioco il futuro dei diritti del lavoro e della democrazia. Enrico Flamini Segretario Provinciale Prc Perugia Condividi