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La crisi economica globale che sta investendo anche il nostro Paese rischia di produrre una vera e propria “carneficina sociale”. Le previsioni circa i riflessi che si abbatteranno sulla vita materiale di milioni di lavoratori e di famiglie non sono ancora in grado di fornire le dimensioni del dramma che sta iniziando a prodursi. Le risposte che molti governi europei stanno offrendo, fra cui brilla in negativo l’esecutivo Berlusconi, si limitano a interventi non strutturali sul sistema economico e produttivo e su piccole e ben poco incisive prebende sul versante sociale nell’ottica del welfare residuale. In un quadro così drammatico rischia di aggravarsi ed estendersi in maniera irrimediabile uno dei principali disagi sociali oggi presente in Italia: il mancato rispetto, per centinaia di migliaia di persone, del diritto alla casa. Le scelte che il governo Berlusconi sta assumendo su tale versante si muovono nella direzione opposta: garantire il diritto alla speculazione edilizia per pochi gruppi economici viene molto prima del diritto all’abitare in maniera dignitosa per milioni di cittadini. Ritengo utile richiamare i passaggi degli ultimi anni per poter appieno comprendere la portata delle scelte che stanno maturando in questa fase. Dopo la lunga e sostanzialmente positiva fase nella quale con il prelievo Gescal i lavoratori italiani hanno contribuito a realizzare uno stock di alloggi pubblici di dimensioni notevoli, abbiamo assistito in Italia alla vittoria di chi riteneva che il mercato, di per sé, potesse garantire a tutti un’abitazione. L’unico correttivo, decisamente inefficace, alle logiche del mercato fu individuato nella politica dei bonus a partire dal 1998. Il risultato è stato il crollo dell’edilizia residenziale pubblica e il connubio fra speculazione immobiliare e finanziaria ha prodotto un’impennata dei costi delle case e degli affitti. A fronte del raddoppio dei canoni sappiamo quale trend ha conosciuto il potere di acquisto dei salari e delle pensioni. La politica italiana ha commesso il grande sbaglio di derubricare la questione abitativa dell’agenda delle priorità per circa un decennio. Non è un caso che all’Italia spetta in Europa la maglia nera con un misero 3-4 % di abitazioni sociali sul totale degli alloggi rispetto ad una media europea che è circa quattro volte superiore. Le regioni italiane, che coordino su questa tematica dal 2005, nel rapporto con i governi in questi anni hanno posto, unanimemente, l’esigenza che la casa tornasse una priorità nella politica nazionale, anche a fronte del fatto che il trasferimento di competenze senza risorse realizzato con la riforma del titolo V della Costituzione rendeva impossibile affrontare efficacemente il dramma che stava crescendo attorno alla questione abitativa. La prima, e sin’ora unica, inversione di tendenza, ottenuta attraverso una battaglia dura da parte di regioni, sindacati degli inquilini, Rifondazione Comunista e pochi altri, c’è stata con il lavoro fatto nel corso del 2007: prima un notevole sforzo di coinvolgimento e di condivisione e poi un primo, senza dubbio parziale, ma comunque positivo piano straordinario di intervento finanziato con 550 milioni di euro. Era la fine del 2007. Il lavoro di molti, ma soprattutto dell’allora Ministro Ferrero otteneva un primo risultato dopo oltre un decennio di sottovalutazione del problema da parte dello stato. Le vicende politiche da allora ad oggi sono note. Meno noto è il fatto che l’attuale Governo Berlusconi, su questo versante, ha operato con grande determinazione verso obiettivi pessimi. Prima annullando per decreto nel luglio 2007 il programma straordinario che stava partendo, poi annunciando urbi et orbi un nuovo piano casa fondato sulla realizzazione di case da vendere o affittare a prezzi decisamente non sopportabili per chi vive quel disagio e sulla svendita del patrimonio alloggiativo pubblico, riproponendo una norma già dichiarata nulla perché incostituzionale. Anziché sostenere un diritto primario come la casa si vuole produrre un intervento di sostegno al comparto dell’edilizia ed una speculazione depauperando, anziché incrementando e mantenendo in maniera adeguata, un patrimonio fondamentale. La battaglia di contrasto a tale impostazione si è sviluppata fin qui quasi esclusivamente sul versante istituzionale. Le regioni hanno bloccato il nuovo piano casa rivendicando la restituzione delle risorse per il piano approvato dal precedente governo che prevedeva la realizzazione di alloggi popolari accessibili ai redditi più bassi. Un blitz di qualche giorno fa in Parlamento nella conversione in legge del cosiddetto decreto anticrisi rischia di chiudere definitivamente lo scontro a favore del governo e con evidenti ripercussioni su chi un tetto sopra la testa non riesce ad averlo (circa 4 milioni di famiglie vivono oggi in una condizione di disagio abitativo, e con la crisi economica non potranno che aumentare). Senza la ripresa di una capacità di mobilitazione politica e sociale, senza la costruzione di un conflitto che leghi salari e casa, mantenimento del posto di lavoro nella crisi e diritti di cittadinanza rischiamo di precipitare in una condizione sociale che l’Italia non conosce da decenni. Penso che per Rifondazione Comunista e per chi si ritiene di sinistra valga la pena intraprendere, prima che sia troppo tardi, questa battaglia. Condividi