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Dopo il monito del Presidente della Camera, Gianfranco Fini, a non varare norme palesemente discriminatorie, e l’intervenuto del Governo, l’emendamento leghista al decreto anticrisi, quello che prevedeva l’introduzione di una tassa di 50 euro per il rilascio di permessi di soggiorno per lavoratori immigrati ed una fideiussione di 10.000 euro per gli immigrati che intendono avviare un’attività in proprio, è stato ritirato. Ma la proposta, stante alle dichiarazioni degli stessi rappresentanti leghisti, a partire dal ministro Calderoli, resta in campo. Dietro questa, apparentemente estemporanea norma avanzata dalla Lega, che fa il paio con le roboanti dichiarazioni di fine anno del ministro Maroni di fermare sul bagnasciuga tutti gli immigrati clandestini, si ripresenta l’idea che, in tempi di recessione, di cassa integrazione e lavoro che manca sarebbe opportuno fermare i nuovi ingressi di lavoratori immigrati, che vengono in Italia a togliere il lavoro ai nostri figli. Come? Iniziando con il bloccare i decreti sui flussi. E’ il giochetto di sempre, di fronte alle difficoltà che si annunciano pesanti, distogliere l’attenzione costruendo a tavolino un capro espiatorio, meglio se è un diverso, uno che viene da terre lontane a minacciare la nostra tranquillità. E comunque un primo effetto c’è stato con una riduzione di 20.000 unità negli ingressi programmati. Ma poi di quali nuovi ingressi parliamo? Di fatto, lo sanno tutti e lo hanno ammesso pubblicamente gli stessi rappresentanti del Governo, i decreti sui flussi, quelli cioè che annualmente per regione stabiliscono il numero di lavoratori stranieri che possono essere avviati al lavoro, non fanno entrare nuovi lavoratori ma si limitano a regolarizzare lavoratori già da tempo presenti nel mercato del lavoro nazionale ed impiegati presso imprese e famiglie. Un anno fa sono state presentate domande di autorizzazione all’ingresso da circa 740.000 soggetti mentre soltanto 170.000 hanno ottenuto il soggiorno per motivi di lavoro, gli altri oltre mezzo milione di soggetti hanno continuato a rimanere e lavorare in Italia ma da clandestini. La sospensione del decreto avrebbe, quindi, come conseguenza non arrestare gli ingressi, bensì annullare la possibilità di emergere e di entrare a far parte del mercato del lavoro legale. Il taglio di 20.000 autorizzazioni operato di recente non riduce i nuovi ingressi, ma, molto più semplicemente, impedisce a 20.000 persone già presenti e occupate in Italia di mettersi in regola. E le imprese che li impiegano continuano a fare concorrenza sleale a quelle con lavoratori in regola. Una mano la dà anche il Governo che, nonostante i proclami, ha di molto ridotto le ispezioni sui luoghi di lavoro. Anche nelle famiglie, quanti non riescono a rientrare nei decreti flussi continuano a lavorare senza diritti, con sofferenza per loro e con riflessi negativi per salari e condizioni di impiego di altri. Pero in tempo di crisi un po’ di propaganda non guasta. A proposito di propaganda, sono stati resi pubblici i risultati di una ricerca di Banca Italia che smentisce il luogo comune secondo il quale aumento dell’immigrazione ed aumento della criminalità vanno di pari passo. Nel periodo 1990/2003, si legge nel rapporto, “a fronte in un incremento della presenza straniera nel nostro paese, non si è registrato un incremento della criminalità”. Ma ancora, se i dati provinciali mostrano che “i territori che hanno attratto un maggior numero di immigrati, sono anche quelli con più alti tassi di criminalità”, i dati consentono di escludere che sia l’immigrazione a contribuire in maniera determinante all’aumento di criminalità. “Un più alto tasso di criminalità e una maggiore presenza di stranieri entrambi riflettono il più elevato grado di sviluppo di quelle province da un lato, e gli immigrati vi sarebbero attratti dalle maggiori opportunità di impiego, dall’altro costituirebbero un obiettivo preferenziale per compiere crimini contro la proprietà a causa della maggiore ricchezza media”. Ma tra i due aspetti non vi è un nesso cusale. Condividi